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LAVORO PORTUALE: UNA SFIDA EUROPEA

La crescita dei traffici e lo sviluppo dei porti di Genova e Savona passano anche attraverso l'evoluzione normativa ed organizzativa del lavoro temporaneo delle Compagnie Portualità

Genova, 5 dicembre 2014


Il quadro generale in cui operiamo registra ancora il debole andamento del ciclo economico, con una bassissima inflazione che accentua i problemi dei paesi con un alto debito pubblico (come l'Italia).

Il FMI vede una” mediocre e tormentata” fase di ripresa del ciclo economico con previsioni riviste al ribasso per il 2014 ed ipotesi di sviluppo inferiori anche per il 2015.

Continua la debolezza economica mondiale a sette anni dalla crisi.

Nello specifico si registrano previsioni con ritmi diversi di sviluppo del PIL in varie aree:

PIL MONDIALE

   

2014

   

2015


+3.3

+3.8




PIL PAESI EMERGENTI 2014

+4.4

+5.0

Tra cui:



Cina

+7.4

+7.0

India

+5.6

+6.4




PIL EUROZONA

+0.8

+1.3

Tra cui



Germania

+1.4

1.5

Spagna

+1.3

+1.7

Francia

+0.4

+1.0

Italia

-0.2

+0.8

Dopo aver esagerato in previsioni ottimistiche, continuamente riviste, ora gli esperti internazionali ritengono assai probabile un periodo di lunga stagnazione per le economie occidentali anche per i prossimi anni. Tuttavia secondo il WTO sta aumentando lo scarto tra la crescita del PIL e quella del commercio internazionale, con il fatto che l'economia mondiale è condizionata da più alte esportazioni.

I.S.L. di Brema ha previsto per il 2014 in Europa una crescita del 9% di movimentazione nel settore container (anche se non è detto che corrisponda a volumi trasportati).
La BCE prevede per il 2014 e il 2015 una crescita della domanda estera con buone prospettive per l'area euro cioè +4.9% e +5.7%.

In questo quadro i porti sono un po' le vittime del disordine economico dello shipping, cioè di quella situazione in cui la redditività delle Compagnie Marittime cala a causa della sovracapacità di stiva; eppure si continuano ad ordinare navi a livelli precrisi.

Per contenere i costi i gruppi armatoriali tagliano i servizi, rallentano la velocità delle navi allungano i tempi di servizio oppure costruiscono navi sempre più grandi che costringono i porti, le Autorità Portuali, i Terminal Operators a continui investimenti per adeguare banchine, fondali e mezzi di movimentazione se vogliono intercettarne i traffici.

Soprattutto in nord Europa i porti sono andati a rimorchio di queste scelte con progetti di porti giganti ed anche in Italia con vari progetti ambiziosi.
E' tuttavia confermato che il gigantismo navale non è automaticamente per tutti i porti una garanzia di maggiori volumi acquisibili.


Lo scenario specifico del nostro lavoro è quello dei traffici marittimi nazionali nella crisi.

Nel 2009 si è registrato un - 14% dei volumi trasportati con circa 500 ml di tons sull'anno precedente, nel 2013 si torna al 2009: se ci sono porti che crescono è prevalentemente per una redistribuzione di volumi tra i vari scali attraverso i citati fenomeni di aumento delle esportazioni e del gigantismo navale, che stanno selezionando i porti.

Cosa accade al lavoro portuale?

Nei porti italiani si registrano 21.000 dipendenti diretti degli art. 18 e 16, comprese imprese di appalto e subappalto, e 2200 addetti alla fornitura di lavoro portuale temporaneo (art.17) di cui circa 1300 a Genova e Savona. Le due Compagnie portuali e la Pietro Chiesa sono un fulcro del lavoro nei rispettivi porti, proprio perché non sono imprese di somministrazione pura ma strutture del lavoro flessibile organizzato e professionalizzato. Si conferma che anche a Genova e Savona l'attività portuale più oggi che ieri è dominata dalla variabilità del ciclo operativo e dalle esigenze di flessibilità del lavoro, perché bisogna rispondere a fattori esterni al porto.

Il Terminal Operator non è un officina in cui un' impresa controlla tutti i fattori organizzativi del proprio ciclo produttivo; oltre al fenomeno oggettivo e storico delle condizioni meteo-marine, l'impresa portuale non controlla il fondamentale elemento del proprio ciclo operativo: la nave.

In tal senso anche il futuro dei porti europei di Genova e Savona è collegato alle scelte dei grandi gruppi armatoriali, alle loro alleanze, al fenomeno delle grandi navi ed alla collocazione effettiva dei due porti nelle reti TENT europee e nei corridoi di traffico d'Europa.

Il lavoro portuale anche nell'apparente ciclo industriale del container ha perciò bisogno di adattarsi continuamente a scelte di mercato compiute altrove e da modelli organizzativi in continua evoluzione. In ciò è fondamentale per l'impresa portuale la terziarizzazione delle proprie attività, una necessità insita nella movimentazione delle merci.

Ovviamente ci può essere una tendenza per le imprese concessionarie ad una terziarizzazione del lavoro senza regole (Vedi analisi” FAR WEST” Apetecchia) o in una forma che passi attraverso la regolazione del lavoro temporaneo, specializzato e flessibile, coniugato alla sicurezza del lavoro soprattutto per i porti di dimensioni e valenza internazionale.

Guardando proprio all'Europa ci sono modelli di organizzazione del lavoro che sono stati attuati in certi grandi porti del nord come Anversa ed Amburgo, il cui studio può essere fonte di una valutazione sui tratti comuni con Genova e Savona e di una ipotesi di lavoro e proposta per le imprese operanti.



ANVERSA

In Belgio possono lavorare nei porti solo lavoratori riconosciuti e registrati, dotati di un tesserino di riconoscimento. Possono essere impiegati lavoratori non registrati solo nel caso in cui una situazione di carenza di mano d'opera sia stata verificata e accertata dalle rappresentanze datoriali e sindacali. Ad Anversa la mano d'opera fissa e intermittente è gestita tramite un istituto, il Joint Subcommitte, il Sottocomitato Congiunto del porto di Anversa (abbreviato d'ora in poi con JSC), presieduto da un funzionario del Ministero del lavoro e composto da rappresentanti della confederazione datoriale Cepa, alla quale sono affiliate circa 100 imprese operanti nel porto, e da rappresentanti dei tre sindacati, Il Sottocomitato decide sulle condizioni di lavoro nel porto, che fanno oggetto di uno specifico Codice aggiornato di volta in volta, i contratti conclusi in questa sede possono essere riconosciuti per legge. Il JSC è responsabile del reclutamento, della sorveglianza sul rispetto degli istituti contrattuali e delle norme previdenziali. Un “Ufficio Permanente” paritetico all'interno del JSC decide su eventuali controversie, le sue decisioni sono inappellabili. Sono in sostanza organismi, imprenditori-sindacati, tutelati dal Ministero del Lavoro, la cui politica occupazionale e i cui criteri di reclutamento sono decisi consensualmente tra le due parti.

I Registri sono due, uno per i portuali e un altro per i lavoratori della logistica. Alla data del 30 settembre 2013 il totale dei lavoratori registrati era di 7.128, di cui 1.003 nella logistica. I 6.125 lavoratori portuali registrati si dividono in lavoratori di categoria A e lavoratori di categoria B; questi ultimi sono gli avventizi che dopo 18 mesi passano alla categoria A oppure sono lavoratori di categoria A che hanno subito delle sanzioni per cui sono tornati nella categoria B. La differenza tra le due categorie è data sul piano salariale, dal fatto che ambedue hanno diritto al sussidio di disoccupazione (mancato avviamento) di € 68,30 ma solo quelli di categoria A hanno diritto, in caso di mancato avviamento, alla cosiddetta attendance money aggiuntiva di € 13,5. L'orario di lavoro normale è di 36 ore e 1/4 la settimana, cioè 7 ore e 1/4 dal lunedì al venerdì. Sabato e domenica sono opzionali. I turni di notte e del sabato sono pagati il 50% in più, i turni di domenica il 100% in più. Lo straordinario è pagato il 50% in più. L'orario di lavoro del turno giornaliero può essere prolungato di due ore per consentire di finire la nave, dietro pagamento di uno straordinario al 150%. In realtà non tutti i lavoratori sono assunti a giornata, ci sono tre categorie: 1) conduttori di mezzi speciali (che sono 1.054), 2) supervisori (966) e 3) lavoratori della logistica (1.003) che sono assunti in maniera permanente; i lavoratori generici di categoria A e B (1.965) ed i lavoratori specializzati di categoria A e B (1.928) sono assunti in maniera intermittente, a chiamata, senza un contratto scritto. I tallymen per i container (212) possono essere sia casual che permanent. Nel 2013 i permanenti sono stati il 46,43%, gli occasionali il 53,57%. I portuali a chiamata sono 4.000 circa contro 2.000 fissi (conduttori di mezzi speciali e preposti). Le chiamate giornaliere per i lavoratori flessibili sono quattro.

L'associazione datoriale Cepa ha il compito di amministrare centralmente i salari inerenti l'occupazione dei lavoratori registrati, raccoglie capillarmente le informazioni sugli avviamenti dai gates dei terminals o dei magazzini e dalla sala della chiamata in modo da poter inviare settimanalmente una fattura ai singoli datori di lavoro. Tutto il resto rispecchia l'esito del negoziato tra Cepa e organizzazioni sindacali, Il JSC quindi non sostituisce il sindacato nella negoziazione delle condizioni contrattuali ma, in quanto organismo riconosciuto dal Ministero del lavoro e presieduto da un funzionario del Ministero, garantisce che siano rispettate le norme previste per legge relative al salario base, alle indennità di mancato avviamento e che siano riconosciuti tutti gli istituti previsti dalla previdenza sociale (assegni familiari, ferie, indennità malattia, pensione, invalidità ecc.) ed eventuali altri benefits riconosciuti dalle associazioni datoriali. JSC non è un organismo rappresentativo della forza lavoro ma un organismo di sorveglianza dei Ministero del lavoro controllato dai datori di lavoro e dai sindacati perché siano rispettate le norme di legge e garantito il rispetto degli accordi contrattuali. E' un organismo di regolazione dei lavoro intermittente. La Cepa gestisce un Fondo sociale di Compensazione riservato alla categoria dei lavoratori portuali che elargisce la cosiddetta attendance money e un'indennità ulteriore per i lavoratori anziani in caso di mancato avviamento, i contributi per ricoveri ospedalieri, per indumenti protettivi di lavoro ecc.. Il suo Training Centre è il luogo più interessante del porto dal punto di vista della mano d'opera. Ci lavorano 17 istruttori (portuali anziani con molta esperienza pagati dall'Ufficio del Lavoro) che hanno a disposizione per i conduttori di mezzi speciali (gru di banchina, reach stacker, van carrier ecc.) dei simulatori (il più recente, per le gantry cranes, costa 1 milione di dollari!).

Ad Anversa c'è un pool di lavoro temporaneo professionalizzato ed organizzato che opera in un porto di imprese private con meno dipendenti che lavoratori flessibili. E' un organismo fondamentale in un porto con alti volumi di traffico per tutti i terminal che lo utilizzano completamente mantenendone il funzionamento e l'equilibrio economico attraverso il JSC.



AMBURGO

La situazione nel porto di Amburgo è diversa perché l'evoluzione storica dell'istituto che regola ed organizza il lavoro intermittente è stata diversa, ma l'impostazione rimane la stessa di Anversa in quanto l'ente che assume e dispone i lavoratori secondo le esigenze dei terminals è anch'esso un ente paritetico datori di lavoro-sindacati: il Gesamthafenbetrieb (GHB). I suoi Statuti traggono legittimità giuridica da una legge del 3 agosto 1950 che istituisce un “datore di lavoro speciale per i lavoratori del porto” che non può esercitare però nessuna attività commerciale. Il GHB ha il compito, una volta costituiti i suoi organi direttivi, di incassare, amministrare e impiegare le somme a lui versate; i suoi statuti, debbono esser approvati ed autorizzati dall'autorità regionale di regolamentazione del lavoro; sul GHB esercita la vigilanza il Presidente dell'autorità regionale di regolazione del lavoro.

Anche qui dunque, come nel caso di Anversa, si tratta di un istituto paritetico che sta sotto la vigilanza del Ministero del lavoro del Land. Il fatto di aver affidato ai Länder e non al Bund la vigilanza rispecchia il carattere “municipale” dei principali porti tedeschi, Amburgo e Brema, che appartengono ambedue a delle città-stato, ovvero a due Länder. La legge fissa soltanto i principi generali è ovvio che ogni Land ovvero ogni porto fa per conto suo e lo statuto del GHB di Amburgo può essere diverso da quello di Bremerhaven o di Rostock o di Lubecca, purché sia approvato dall'autorità di vigilanza (l'Ufficio dei lavoro).

Come ad Anversa, per quanto riguarda le condizioni di carattere generale, orario di lavoro, paga base, istituti contrattuali, valgono anche per i lavoratori del GHB i contratti nazionali di lavoro. Anche ai lavoratori GHB è stata riconosciuta l'indennità di mancato avviamento (Garantielohnaufwendung). Inoltre a livello locale possono esser stipulati degli accordi intesi sia come accordi integrativi sia come accordi che modificano alcune condizioni di base, in particolare quelle che sono suscettibili di migliorare la produttività. Dal punto di vista del sindacato, il GHB ha come scopo principale quello di ridurre la precarietà del lavoro portuale assicurando ai lavoratori un impiego continuato pur cambiando continuamente posto di lavoro. Mentre ad Anversa si è cercato il più possibile di stabilizzare i lavoratori presso un terminalista, ad Amburgo si è preferito dotare il lavoratore di più specializzazioni in modo da offrirgli più occasioni di lavoro con una continua rotazione. Solo nel 1984, con l'intervento del Ministero federale del lavoro, viene definitivamente riconosciuta l'esclusiva della GHB nella fornitura di mano d'opera per le operazioni portuali. Dopo di allora la funzione istituzionale del GHB non è stata più messa in discussione, i terminalisti hanno assunto dipendenti ed il numero di lavoratori presente nel pool di mano d'opera è rimasto costante. Va detto che i terminalisti non sono titolari di una concessione ma sono degli affittuari il cui contratto d'affitto può essere prolungato senza dover ricorrere ad una gara europea. La consistenza esigua della forza lavoro del pool, oggi sulle 1.100 persone circa, è inversamente proporzionale alla tendenza alla stabilizzazione della forza lavoro. La scelta vincente da parte della GHB è stata quella di farsi carico, mediante i fondi del Ministero del lavoro, della formazione dei suoi lavoratori per tutte le professionalità richieste nel porto in seguito alla profonda trasformazione introdotta dal container e dall'informatica. Oggi come oggi il GHB può coprire con la sua mano d'opera specializzata tutti i ruoli, compreso quello di gruista delle gantry cranes ed, a detta di uno dei responsabili del personale di una grande impresa terminalista presente nel porto, il livello qualitativo del lavoratore avviato dal GHB non ha nulla da invidiare a quello dei dipendenti del terminal.

La scuola portuale, inaugurata dal cancelliere Helmut Schmidt nel 1986, istruisce sia il personale del GHB che il personale dei terminals. Il settore portuale a sua volta si suddivide in containers (C), in merci varie (S) e in rinfuse (M) ma la specializzazione dei lavoratori è il più possibile polivalente. La tradizione di essere all'avanguardia dell'innovazione viene mantenuta nel senso che tutto il lavoro dell'avviamento per singolo lavoratore e per qualificazione richiesta, tutto il lavoro di amministrazione e contabilità, tutti i rapporti organizzativi con i terminalisti vengono gestiti da un unico sistema informatico. Generalmente, per formulare una previsione di massima sul bisogno di mano d'opera intermittente, verso la fine dell'anno, tra novembre e dicembre, i terminalisti fanno degli incontri con il GHB per valutare la situazione e abbozzare delle previsioni.

Come ad Anversa, il GHB emette alla fine del mese una fattura nei confronti dei terminalisti in base al numero, alla qualifica e ai turni per cui i lavoratori sono stati impiegati. Ma quello che caratterizza il sistema ad Amburgo è il contributo che i terminalisti versano al GHB per i suoi costi di gestione e di funzionamento sotto forma di versamento unitario in aggiunta alla retribuzione. Se alla fine dell'anno il bilancio del GHB, distribuiti i salari e trattenuto il contributo, è in attivo, la somma eccedente viene restituita ai terminalisti, se è in passivo i terminalisti coprono il deficit. La differenza di costo per un terminalista che impiega un lavoratore del GHB rispetto al suo dipendente, a parità di qualificazione, è di 20%, se si dovesse tener conto anche dei costi che il GHB sopporta per la formazione diventa di più. I rapporti quindi tra le imprese operanti nel porto ed il soggetto che fornisce mano d'opera flessibile sono, a detta delle imprese, soddisfacenti.

La base professionale del pool di Amburgo ha un età media di 44 anni e in media ogni lavoratore dispone di 4 specializzazioni certificate nelle seguenti professionalità: gruisti di gantry cranes, conduttori di cavalieri, spuntatori, segnalatori, rallisti, rizzatori, gruisti di transtainer, conduttori di reach staker, conduttori di carrelli pesanti, portuali qualificati, per un totale di circa 5.000 diplomi.


Cosa suggerisce questa organizzazione del lavoro flessibile di Anversa ed Amburgo al lavoro delle Compagnie Portuali di Genova e Savona?

- Visto che il lavoro a chiamata, la sua flessibilità, la polivalenza professionale e la struttura di organizzazione sono di fatto simili, siamo di fronte ad un modello operativo collaudato e funzionante nei grandi porti europei.

- Sono simili anche le forme (ma non le quantità) di ammortizzatori sociali per i lavoratori con il mancato avviamento indennizzato. [Il problema che va chiarito è che l'impresa di lavoro temporaneo a Genova e Savona non ha beneficio alcuno con l'Indennità di mancato avviamento che rappresenta un costo non pagato dal terminalista quando non utilizza l'art.17, è certamente un'integrazione salariale a favore del lavoratore di fronte a crisi e a calo di giornate lavorate, ma se cresce, il mancato avviamento, aggrava i costi di gestione dell'impresa art.17 che trae risorse solo dalle giornate lavorate.]

- Ciò che invece manca del tutto alle compagnie portuali nel confronto è un ente regolatore del lavoro intermittente: non esiste un ufficio del lavoro triparte dove l'Autorità Portuale (come il Land o il Ministero del Lavoro ) possa essere il soggetto attivo del mercato del lavoro portuale assieme alla compagnia portuale e i rappresentanti dei terminal operators datori di lavoro. In tale ufficio del lavoro ci sono le condizioni per affrontare collegialmente e con continuità, le necessità operative, professionali, le quantità e qualità della formazione necessaria, gli accordi sulla produttività e la gestione comune della sicurezza sul lavoro, nonché i piani di lavoro dell'anno sulla base di un numero di giornate a chiamata prevedibili in un quadro verificato e studiato di organico porto complessivo tra dipendenti diretti e addetti del Pool.

- A Genova e Savona manca rispetto ai Pool europei una regolamentazione specifica sul ruolo del Pool (compagnia portuale) anche se si opera di fatto come struttura organizzata non certo interinale.

- Manca un finanziamento del porto attraverso l'Autorità Portuale o delle imprese utilizzatrici per la formazione della compagnia portuale, che resta affidata al volontarismo e autofinanziamento della stessa senza alcun programma concordato con terminal operator e con Autorità Portuale pur essendo operante a Genova ad esempio per la Culmv una scuola portuale accreditata.

- Manca altresì uno strumento di compensazione economica con cui ad Anversa ed Amburgo viene mantenuto l'equilibrio di bilancio dell'impresa di lavoro temporaneo da parte dei terminalisti o da risorse del porto in caso di crisi e riduzione di giornate lavorate a chiamata, con conseguente risultato negativo di bilancio. E' una organizzazione di lavoro nei porti con un proprio meccanismo di compensazione, sostenuta quando occorre perché necessaria a tutti gli operatori del porto e proprio perché non ha un proprio ambito commerciale. [Va chiarito che per le compagnie portuali di Genova e Savona non può rappresentare un obiettivo di prospettiva e di continuità aziendale l'applicazione del comma 15 bis art. 17 l. 84/94 che consente temporaneamente fino al 2017 il motivato utilizzo del 15% massimo delle tasse portuali di sbarco e imbarco delle merci nel porto in compensazione delle variazioni - verificate con istruttoria - negative del bilancio delle compagnie portuali a fine anno e con assurdo obbligo di ridurre l'organico del 5% l'anno: così da ridurre la flessibilità e rendere difficile la copertura dei picchi di lavoro con la restrizione imposta del polmone di riserva flessibile. Una vera contraddizione in termini!!]

- Nel raffronto appare infine evidente che il problema delle compagnie portuali di Genova e Savona è strutturale e normativo, in quanto hanno regolamentazioni del lavoro temporaneo che non colgono questo ruolo appieno ed a fronte di una legge 84/94 (art. 17) cristallizzata da vent'anni che non lo prevede, c'è invece la realtà operativa che ha evoluto e superato nei fatti la generica norma. Oggi non esiste quindi una base giuridica come ad Anversa ed Amburgo che regoli ed equilibri ciò che di fatto già funziona in termini di lavoro flessibile.

- L'attuale criticità dell'impresa di fornitura di lavoro portuale temporaneo che organizza, gestisce e forma, richiede proprio nella modalità particolare dei traffici una soluzione definitiva di continuità altrimenti non sopravvive la compagnia portuale che gestisce tale ruolo; ciò a detrimento anche del porto con l'unico risultato per altro poco duraturo che la compagnia portuale diventa l'ammortizzatore economico di tutte le imprese terminaliste su cui poter scaricare i costi di organizzazione in caso di riduzione delle giornate lavorate a chiamata.

- In generale dal raffronto con Anversa ed Amburgo si conferma altresì che il peso crescente della flessibilità e della formazione sono valori necessari per l'efficienza di un porto: è il contesto internazionale dell'organizzazione del lavoro portuale ad evidenziarlo. Infatti l'esigenza di un porto moderno è la continuità organizzativa e qualitativamente alta di un pool flessibile e professionale per le operazione portuali. A parere nostro tale flessibilità del lavoro è divenuta un interesse generale del porto ed un servizio/valore pubblico proprio per tutto il sistema delle imprese. Oggi non si tratta solo, come venti anni fa dettava la norma, di integrare al ciclo ordinario del lavoro dei dipendenti diretti dei terminals, l'intervento di singoli avviamenti somministrati per una contingente mancanza di manodopera ma si richiede una crescente specializzazione a tutto campo per i lavoratori della compagnia portuale art. 17, una polivalenza professionale sia nel settore dei contenitori sia nel ro/ro sia nelle merci varie o generai cargo, fino ai passeggeri ed alle crociere proprio nei ricorrenti picchi di richiesta di risorse strutturate ed organizzate per porti multifunzionali.



LA CULMV P.BATINI

Genova resta ancora il porto leader e con i suoi ampliamenti è destinato a restano nel futuro. Ma a fronte delle considerazioni fatte l'avvenire per chi organizza il lavoro temporaneo non si presenta facile pur con una piccola ripresa dei traffici in atto. Il dato inconfutabile è che non si può rinunciare alla flessibilità della compagnia portuale ed occorre essere consapevoli che un organico calibrato a millimetro sui fabbisogni automaticamente perde la flessibilità; questa invece è il valore più alto della compagnia portuale dal punto di vista dei datori di lavoro oltre ad un costo ridotto rispetto ai dipendenti diretti.

Il Pool a Genova come a Savona richiede un organico” ridondante” proprio rispetto al suo ruolo: dove le sette chiamate giornaliere della Culmv che diventano anche 10 o 12 con i turni spezzati o sovrapposti rappresentano un bel vantaggio per il terminalista e per il porto. Questa è certo la soluzione per i picchi di lavoro ma anche per l'integrazione funzionale temporanea che serve al ciclo operativo dei terminals, non risolvibile con il lavoro interinale o con l'apporto di cooperative esterne.

Il vero ruolo della Compagnia portuale è quello che sta scritto negli accordi operativi con i singoli terminal operators più che il generico riferimento nella legge 84/94 o nel regolamento ormai datato dell'Autorità Portuale. L'aspetto che tutti trascurano è che se si spaccia per somministrazione il nostro lavoro non se ne vuoi vedere la struttura che organizza le variabilità del ciclo operativo né la professionalità né il risparmio né la produttività complessiva e cioè il volano che muove il lavoro flessibile con i suoi costi di gestione e il reale valore inquadrato nell'interesse generale del porto. La nostra classificazione è di una grande azienda con 42 ml di fatturato annuale (2013) che opera su 13 terminal operators attraverso 1017 soci operativi, assieme ai 1070 dipendenti operativi di tutti i terminals. Anche in questi anni della crisi la Culmv ha comunque rappresentato circa il 50% di tutto il monte ore operativo del lavoro portuale proprio con una flessibilità particolare che è di orario, di postazione di lavoro, di funzione professionale unica nei porti italiani. Per regolamento la tariffa massima di riferimento pagata alla compagnia per prestazione singola è fissata ogni due anni da Autorità Portuale. Tuttavia la Compagnia deve stipulare un contratto di fornitura di lavoro temporaneo organizzato con ogni singolo terminal; si tratta del 95% degli avviamenti, fatto salvo il restante 5% in cui si ricorre alla chiamata singola uomo turno in “ mobilità”. L'avviamento di squadre organizzate corrisponde alle esigenze dei terminals, garantisce livelli di produttività la relativa formazione professionale per le specializzazioni, l'abilitazione dei vari sistemi operativi informatici di ognuno nonché la copertura assicurativa della squadra. Il tutto però senza alcuna garanzia contrattuale di un numero definito di giornate a chiamata nell'anno da cui dipendono fatturato e bilancio di gestione. Da quando la Culmv è autorizzata dopo gara pubblica a fornire lavoro temporaneo ( novembre 2009) alla fine di ogni anno la tariffa reale media per turno è sempre stata inferiore alla tariffa deliberata da Autorità Portuale inclusi i premi di produttività con una differenza in meno del 8-9% sui maggiori terminal utilizzatori che ha determinato uno squilibrio economico in ogni bilancio mettendo a rischio la continuità aziendale della Compagnia.

Paradossalmente applicando ad ogni chiamata la tariffa di riferimento definita uomo/turno la Compagnia compresa la produttività avrebbe ottenuto un risultato di pareggio economico. Il paradosso è che alla fine la struttura organizzata ad orari flessibili formata e responsabilizzata sulle norme di sicurezza sul lavoro ha ottenuto un risultato economico inferiore per giornata lavorata all'avviamento deresponsabilizzato della giornata di mobilità! Sappiamo che la tariffa per turno in quanto “massima” e quindi teorica ha forse la funzione di tutelare il terminalista dal potere contrattuale di mercato della Compagnia ma non ha certo alcuna funzione di tutelare la Compagnia dal maggior potere di mercato dei terminalisti proprio perché non c'è un impegno contrattuale delle imprese utilizzatrici che rapporti il valore della tariffa ad un numero di giornate a chiamata prestabilite.

In questo senso anche con un aumento importante dei contenitori movimentati nei terminal genovesi (+9% nel 2014), registriamo un incremento delle giornate lavorate non corrispondente in percentuale (+4% nel 2014) per un aumento di efficientamento e produttività (cui contribuiamo come compagnia ) nei terminals.

Il deficit si scarica sui pur compressi costi di gestione dell'impresa organizzata Culmv; oggi la situazione richiede perciò un intervento sulla organizzazione del lavoro nel porto al fine di ottenere un equilibrio di gestione del lavoro temporaneo anche attraverso una proposta di regolazione dello stesso che dia atto del reale ruolo dell'art.17



CULP SAVONA

Per quanto riguarda la realtà savonese, in questa sede è bene ricordare che a Savona la Compagnia, con un organico oscillante tra i 150 ed i 180 lavoratori globali ed un volume d'affari tra 8 e 10 milioni di €, svolge storicamente il proprio lavoro, caratterizzato da sempre dalla flessibilità, professionalità e polivalenza dei soci, al servizio sia dei terminalisti del porto storico - in terminal con una struttura propria “leggera”- sia a Vado Ligure dove il terminalista Reefer Terminal risulta strutturato e dotato di personale diretto su livelli medio alti.

Naturalmente, anche sulla base delle caratteristiche dei richiedenti, il tipo di attività prestata varia dal servizio più completo con squadra organizzata, mezzi ed attrezzature, all'uomo in giornata (che rappresenta comunque una quota assolutamente marginale dell'attività).

I volumi di traffico (con esclusione del periodo 2008-2011) risultano a livello globale stabilizzati, anche se caratterizzati da consistenti spostamenti da un tipo di traffico all'altro - basti ricordare negli ultimi anni il calo dei containers compensato dall'incremento del ro-ro - che hanno richiesto alla Compagnia una capacità notevole di adattamento alle trasformazioni in atto.

In questa situazione la Compagnia (escludendo il periodo 2008-2010) era riuscita a trovare una situazione di relativo equilibrio economico che risulta ogni giorno più precario a causa dei sempre maggiori problemi finanziari derivanti dall'allungamento dei tempi medi di pagamento dei terminalisti e comunque non in grado di consentire il necessario rinnovamento di attrezzature e mezzi.

Non va tra l'altro dimenticato il fatto che nel triennio 2009-2011 la CULP ha cumulato perdite superiori a € 1.700.000, rispetto alle quali non si è verificato nessun intervento esterno, e che hanno quindi azzerato le riserve costituite in decenni indebolendo la Compagnia dal punto di vista patrimoniale in modo decisivo.

La Compagnia di Savona non può certo essere considerata come l'isola felice che può proseguire la propria attività senza particolari problemi in attesa della partenza della Piattaforma Maersk con la quale, per altro, sono già avviati contatti interessanti.

Nonostante questo, però, anche a livello savonese la situazione attuale risulta sempre meno sostenibile senza una completa rivisitazione del lavoro portuale temporaneo organizzato e l'inserimento per il soggetto che lo fornisce di chiare e precise garanzie in termini economici.




PROPOSTA PER IL LAVORO

Dalle valutazioni esposte appare evidente che le Compagnie portuali di Genova e Savona sono di fatto organizzate come un servizio obbligatorio di interesse generale del porto del tutto compatibile con il mercato europeo, richiamando l'art. 106 TFUE.

Anche se ad oggi l'art.17 della legge 84/94 non ne esplicita i contenuti ha, nel suo evolversi organizzativo nei due porti, tutti i requisiti che ne richiamano l'applicazione e l'individuazione di servizio di interesse pubblico che garantisce parità di trattamenti alle imprese, flessibilità formazione e relativo regime di responsabilità sulla sicurezza.

Ci richiamiamo non ad un idea, ma al diritto di riconoscimento, agli stati membri della comunità europea di assegnare specifici obblighi di servizio pubblico concesso anche per mantenere un livello di qualità e continuità del servizio di interesse generale individuato, attivando una compensazione che va garantita dallo Stato alle condizioni previste dalla Corte di Giustizia Europea.

In tal senso si possono regolare attraverso l'Autorità Portuale alcuni servizi di interesse economico generale (ex art.14 e 106 TFUE ) riformulando nella fattispecie il comma 9 dell'art. 17 e lo stesso comma 15 bis dello stesso articolo. Lo scopo è di garantirsi la forza lavoro necessarie per coprire le esigenze ordinarie e straordinarie del porto sulla base del valore della flessibilità nel lavoro indispensabile per la progressiva variabilità del traffico marittimo.

Con questo obiettivo l'Autorità Portuale può di conseguenza individuare alcuni oneri di servizio pubblico da imporre ai concessionari utilizzatori ed dal fornitore per mantenere un elevato livello di qualità, sicurezza e formazione specializzata del lavoro portuale.

Con ciò l'Autorità Portuale ha il compito di:

- Verificare preliminarmente ogni anno la necessità di lavoro temporaneo per garantire la flessibilità in porto; nel confronto con i soggetti interessati si determinerebbe il numero di giornate annue minime a chiamata;

- Far garantire dal fornitore Compagnia Portuale la formazione specializzata dei lavoratori anche sulla sicurezza specifica;

- Identificare i soggetti responsabili in materia di sicurezza tenendo presente l'attuale normativa di riferimento1

1) Già oggi le due compagnie portuali sono un pool di lavoro con propria assicurazione, RSPP, medico competente che può operare con mezzi propri e squadre organizzate coordinate da un caposquadra, anche se il rischio di impresa e le direttive di lavoro rimangono in capo al terminalista. La direzione della squadra ed il suo coordinamento rimane attraverso il caposquadra sulla compagnia portuale. Si configura in tal modo una quota di responsabilità nell'operazione a carico della squadra organizzata del fornitore/pool ma solo relativamente al lavoro della squadra. Certo se danni o infortuni dipendono dal malfunzionamento di mezzi del terminal o pericoli insiti e non segnalati nella postazione di lavoro (nave e piazzale) la responsabilità ricade sull'impresa utilizzatrice. La forma giuridica ditale assunzione di responsabilità delle Compagnie portuali può avvenire in sede di accordo con il terminalista ed un eventuale atto regolatore dell'Autorità Portuale. Tale responsabilità (pro-quota) delle compagnie portuali pool va esclusa solo nella fattispecie in cui si limitano a somministrare manodopera. E' altresì evidente che una parte di responsabilità nelle stesse compagnie nelle operazioni della squadra organizzata avviata comporterebbe un valore economico aggiuntivo alla tariffa per prestazioni determinata dall'Autorità Portuale con la generica tariffa massima omnicomprensiva.


- L'Autorità Portuale dovrà altresì indicare i soggetti su cui gravano gli obblighi ed individuare le modalità di compensazione, tenendo conto dei costi sostenuti e verificati dalla Compagnia Portuale.

La compensazione può avvenire in termini economici con utilizzo delle quote delle tasse portuali da parte APG o con un mix che colleghi la tariffa a consuntivo annuale pagata dai terminal operators alle giornate lavorate del pool effettivamente effettuate a fine esercizio di bilancio con una possibile verifica di riequilibri e conguaglio. Evidentemente per consentire tale obbligo di compensazione a sostegno dell'organizzazione dei lavoro del porto e del terminal operator attraverso lo strumento tariffario si potrebbe trovare in accordo con AP un meccanismo compensativo per le imprese attraverso la durata e il rinnovo delle concessioni.

Per altro verso riteniamo che esista una base giuridica del potere di regolazione del lavoro da parte dell'Autorità Portuale.

Analizzando le norme in materia portuale emerge una forte potestà dell'Autorità Portuale in materia di lavoro per produrre un intervento regolatorio diretto (comma 10 art. 17 l. 84/94). Del resto il previsto compito di adottare specifici regolamenti per determinare e controllare le attività effettuate dalle compagnie portuali, secondo parità di trattamento e secondo livelli quantitativi e qualitativi adeguati, è già un richiamo alle nozioni di servizio generale (di cui al citato art. 14 TFUE).

L'Autorità Portuale con lo strumento del regolamento per l'art.17 dovrebbe prevedere nello specifico per l'organizzazione lavoro del pool:

- Criteri per determinare ed applicare la tariffa omnicomprensiva non solo quella teorica e massima di riferimento

- Disposizioni per determinare quantità e qualità degli organici dell'impresa autorizzata alla fornitura in rapporto alle esigenze del porto

- Predisporre programmi di formazione professionale sia per l'accesso alle attività portuali sia ai fini dell'aggiornamento e riqualificazione dei lavoratori delle compagnie

- Procedura di verifica e controllo delle regolamentazioni adottate

- Criteri per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro rispetto all'organizzazione del lavoro determinata tra fornitore/pool organizzato e imprese utilizzatrici

La base giuridica di questa impostazione è anche nell'art.6 comma 1 lettera a) delle legge 84/94 che prevede specifico potere di indennizzo, programmazione coordinamento e promozione da parte dell'Autorità Portuale, nonché il controllo delle operazioni portuali (art. 16 comma 1) con poteri di regolamentazione ed ordinanza in riferimento alla sicurezza.

Quanto sopra riguarda anche le esigenze di organico diretto dei terminal operators ai fini del rilascio delle concessioni, ma in una visione di organico porto complessivo anche la necessità di avvalersi di un pool esterno, la cui presenza e il cui utilizzo nel caso di rinnovo o allungamento di concessioni private deve risultare elemento computato e previsto nella organizzazione lavoro del concessionario.

In sintesi fermo restando l'ipotesi di introdurre una norma da parte del Governo che regoli la materia, l'Autorità Portuale può elaborare un regolamento in questo senso e ciò presuppone che la forma giuridica della compagnia portuale rimanga immutata nello schema dell'art. 17 1.84/94.

Certamente il regolamento deve avere i contenuti dell'art.106 TFUE, prevedendo appunto i citati obblighi della compagnia portuale che la Autorità Portuale si impegna a compensare istituendo un proprio capitolo di bilancio destinato a politiche attive del mercato del lavoro ed individuando appositi stanziamenti in sede di approvazione del bilancio preventivo.

Sarebbero punti importanti del regolamento:

- Tariffe specifiche per squadra organizzata e responsabilità della compagnia portuale da rideterminare da parte di Autorità Portuale;

- Numero minimo di giornate lavorate della compagnia previste a tariffe fissate all'inizio di ogni anno (anche con una ipotesi di tariffa fissata variabile per fasce annuali di giornate lavorate a chiamata per singolo terminal operator e per il totale del porto considerando anche il valore della produttività);

- Formazione specializzata garantita: individuando le necessità di specializzazione ad inizio anno imponendo alla compagnia portuale l'aggiornamento continuo e predisponendo il finanziamento attraverso la scuola portuale accreditata.

L'auspicio è che in un tavolo di confronto con le parti sociali e partendo dalle considerazioni fatte si possa attuare una riorganizzazione del lavoro temporaneo necessaria al porto con cui determinare un nuovo regolamento da parte dell'Autorità Portuale quale organismo terzo tra compagnia e terminal operators, aprendo una fase di sperimentazione nel 2015 attraverso un Ufficio di Coordinamento del lavoro portuale (triparte) composto da rappresentanti della stessa Autorità Portuale, della compagnia portuale e dei terminal operators, per attuare concretamente la delibera sul nuovo assetto.

In conclusione nei porti di Genova e Savona la necessità descritta di regolazione del pool quale polmone di lavoro temporaneo deriva quindi non da una semplice sommatoria degli accordi con i singoli terminal operators come è stato finora ma da una visione strategica del porto capace di trasformare quello che è un condominio di imprese in un porto moderno sia a Genova che a Savona. Forse i mutamenti o gli sconvolgimenti nel lavoro portuale di cui nessuno mai parla si renderanno necessari come conseguenza di nuove normative in preparazione o per adeguarsi alle rivoluzioni del mercato indotte da alleanze tra grandi gruppi armatoriali o con le nuove modalità del trasporto; forse saranno determinati da riforme istituzionali che promuovono una logica di distretto logistico o da politiche UE che si impongono e che intendono collegare corridoi di traffico ai nodi marittimi.

Certamente il lavoro portuale temporaneo delle compagnie portuali di Genova e Savona ha una straordinaria necessità di collegare la propria insostituibile realtà ad una corrispondente regolazione.
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