EGITTO: UN PAESE STRATEGICO NEL DIALOGO EURO-MEDITERRANEO
di Roberto Speciale
membro della commissione affari esteri del Parlamento Europeo
e vicepresidente della delegazione per le relazioni con i Paesi del Mashrek
Il Mediterraneo è al centro dell'attenzione dell'Unione
Europea e dell'Italia?
Sicuramente in questi ultimi tempi vi è stata una svolta.
Nel novembre del '95 la strategia euromediterranea è decollata
con enfasi a Barcellona e quest'anno è stata ripresa, con
molti meno risultati, per la verità, a Malta.
In questo periodo si sta procedendo a negoziare gli accordi di
associazione con tutti i Paesi terzi mediterranei (attualmente
"Paesi partner dell'UE") e il programma MEDA è
entrato in funzione. Per supportare questa strategia sono stati
stanziati finanziamenti per circa 10.000 miliardi di lire, e un
ammontare pressoché analogo è disponibile
sotto forma di prestiti della Banca Europea per gli Investimenti.
Anche l'azione politica e diplomatica del governo italiano si
è rimessa in moto in questa parte del mondo.
Vi è stato, finalmente, il riconoscimento formale dell'importanza
politica del Mediterraneo. E come potrebbe essere diversamente?
Questa è un'area di 250 milioni di persone (che possono
diventare rapidamente 350-400 milioni) che necessita di una politica
di sviluppo; è una regione percorsa da tensioni e conflitti
che si ripercuotono su tutti noi e nella quale quindi è
interesse vitale che prevalga la pace, la stabilità, la
tolleranza. E poi rappresenta la prima è più immediata
proiezione di una politica estera dell'UE che voglia guardare
al Sud del mondo.
Tutto bene, allora?
Non credo, perché se guardiamo più da vicino,
vediamo i limiti e i problemi che vanno risolti. Nel concreto
quella politica È ancora a metà strada e la sua
centralità deve essere ancora affermata nei fatti.
Se ne comprendono le ragioni: l'Europa guarda molto all'allargamento
dei suoi confini a Est e anche l'Italia, giustamente, considera
questo un obiettivo fondamentale. D'altronde, l'area mediterranea
è anche un groviglio faticoso di guerre e di estremismi.
L'influenza degli USA è molto grande e condiziona e attenua
il protagonismo dell'Europa.
A maggior ragione per l'esistenza di queste difficoltà,
è necessario che l'Europa e l'Italia esprimano ora un grande
impegno e una forte iniziativa politica ed economica o, altrimenti
si corre il rischio che quella strategia non decolli veramente
e si trasformi in un'occasione perduta.
Ne ho avuto conferma poco tempo fa recandomi in Egitto con una
delegazione del Parlamento Europeo. In tutti gli incontri, con
il ministero degli Esteri, dell'Agricoltura e del Commercio estero,
con la Lega Araba, con i maggiori partiti nazionali, con i rappresentanti
della Shura e dell'Assemblea del popolo, con le autorità
religiose, il punto di partenza era sempre lo stesso: l'Europa
- dicevano i nostri interlocutori - per noi è molto importante,
ma non fa abbastanza!
Non fa abbastanza nel processo di pace in Medio Oriente perché
non esercita una pressione efficace sugli USA e su Israele, non
lo fa sul piano commerciale perché chiede a noi egiziani
di liberalizzare la nostra economia ma non apre coerentemente
i suoi mercati ai nostri prodotti, agricoli in primo luogo, non
lo fa abbastanza sul piano degli aiuti, della cooperazione, degli
investimenti.
Vi è una certa esagerazione in queste lamentele? Probabilmente
sì, e in qualche caso nasconde una pressione per ottenere
di più. Qualche volta vi sono incomprensioni e interessi
legittimamente diversi, non appianabili solo con la buona volontà.
Ciò che però voglio mettere in rilievo è
che dobbiamo evitare che questo atteggiamento sia l'anticamera
di una possibile delusione nei confronti dell'Europa.
Questo fatto sarebbe estremamente grave e comprometterebbe tutta
la strategia mediterranea varata così faticosamente. L'Egitto
poi è un Paese fondamentale per la sua dimensione, per
il ruolo politico che riveste e che potrebbe avere nei processi
di pace, per quello che rappresenta dal punto di vista economico
e democratico.
L'UE e l'Italia giocano qui una partita determinante, e quindi
molto forte deve essere l'attenzione al dibattito e ai sentimenti
che si agitano in questo Paese.
Prendiamo la questione della democratizzazione e dei diritti umani.
Vi sono aspetti esemplari, la soluzione dei quali è decisiva
per questo Paese e per tutta l'area. E' stata risolta la questione
della stampa che l'anno scorso ha rischiato di degenerare in una
grave crisi e in un esempio nefasto per tutti. La legge sulla
stampa prevedeva la possibilità di 15 anni di carcere in
caso di "diffamazione". Il presidente Mubarak ha modificato
la legge voluta dalla sua maggioranza, frenando l'arbitrio nei
confronti dell'informazione: una decisione saggia.
Sui diritti umani è aperto un dibattito molto serio: se
lo Stato, nel combattere il terrorismo islamico debba utilizzare
metodi perentori e arbitrari oppure no.
In alcuni incontri che abbiamo avuto con docenti dell'università
del Cairo e con i rappresentanti di numerose ONG era chiara la
posta in gioco: retrocedere o avanzare nella costruzione di uno
stato di diritto.
Sussistono molti problemi da questo punto di vista: l'esistenza
di 10.000 o di 17.000 detenuti politici (a seconda delle fonti,
ufficiali o meno); il trasferimento di procedimenti civili a tribunali
militari; la denuncia dell'uso, in qualche caso, della tortura.
La necessità di combattere il terrorismo apre anche il
fronte della piena laicità dello Stato. Da qualche parte,
infatti, si denuncia il fatto che, per sconfiggere e isolare le
frange estreme dell'islamismo, lo Stato si appoggi sempre più
l'Islam moderato, e cioè alle autorità religiose,
perdendo però così autonomia e contribuendo all'espansione
dell'influenza religiosa nella vita pubblica.
Ne abbiamo visto un esempio con la pratica dell'infibulazione
(una mutilazione sessuale delle bambine e delle ragazze, diffusa
anche in Egitto). Recentemente È stata vietata dal ministero
della sanità, ma ripristinata subito dopo, attraverso un
ricorso in cui alcune autorità religiose hanno avuto un
ruolo determinante.
Personalmente sono testimone dell'ambiguità di tale questione,
avendo posto direttamente la domanda al grande sceicco Tantawy
che mi ha risposto minimizzando il problema, affermando che si
tratta di una pratica popolare e non di un dettame religioso,
e che comunque è in via di sparizione.
Questo, com'è chiaro, non è assolutamente vero,
tanto più alla luce del successivo pronunciamento contro
il decreto del ministro della sanità. L'Egitto su tali
questioni si trova su un crinale: gioca il suo futuro di Stato
laico, democratico e di diritto. La soluzione di queste vicende
avrà ripercussioni notevoli su tutta l'area mediterranea.
Prendiamo un altro campo, quello dello sviluppo. Vi sono aspetti
importanti e progressi significativi , ma l'economia è
ancora in gran parte caratterizzata dalla esportazione di petrolio
e da un tasso di sviluppo inferiore a quello necessario che rischia
di mantenere il reddito procapite nel 2005 uguale o inferiore
a quello del '95. D'altra parte il debito estero è ancora
elevato, seppure calato a 31 miliardi di dollari.
Vi è un'acuta consapevolezza di questi problemi e delle
possibili soluzioni: la diversificazione dell'economia, la privatizzazione,
graduale e attenta, di alcuni settori pubblici, l'incremento dei
rapporti economici e politici con l'UE ma anche con gli altri
Paesi dell'area (recentemente si è addirittura costituito
un consiglio imprenditoriale egiziano-israeliano). In altre parole,
la scelta dell'integrazione. L'aspetto più significativo
e del quale si parla ancora in misura insufficiente, è
la grande operazione, già in fase attuativa, seppure iniziale,
di dar vita ad un secondo Nilo, ad un grande canale, cioè,
capace - si dice - di raddoppiare la superficie coltivabile e
quindi la produzione di tutto il Paese. Va ricordato che, oggi,
in un territorio di quasi un milione di chilometri quadrati e
con una popolazione di più di 60 milioni concentrata nelle
città e su un territorio di meno di 40.000 chilometri quadrati,
la superficie coltivabile è meno di 30.000 km2.
In questa impresa sono entrati in forma massiccia organizzazioni
e banche internazionali e investitori privati, non europei, intravedendo
una grande operazione economica.
Insomma, l'osservatorio Egitto deve diventare ancor più,
nei prossimi anni, un campo privilegiato di interesse dell'UE
e dell'Italia, perché qui si imposta una parte significativa
della politica mediterranea.
L'Italia ha già interessi diffusi e in particolare commerciali
di primaria importanza; è uno dei Paesi, poi, da cui provengono
i più consistenti flussi turistici. La politica estera
e la politica economica debbono integrarsi sempre più se
vogliamo che questa diventi un'area di pace e di stabilità.
L'Italia deve ridare slancio alla cooperazione, da troppo tempo
bloccata e insufficiente, deve convogliare l'attenzione delle
sue strutture economiche e finanziarie al sostegno dei processi
di riconversione economica e di sviluppo dell'Egitto.
L'Europa deve accelerare l'attuazione del programma MEDA e degli
altri programmi di intervento in questi territori, deve dare coerenza
alla propria azione, mettendo il massimo impegno, senza troppa
rigidità, nella conclusione dell'accordo di associazione;
deve contribuire allo sforzo di pace dell'Egitto in Medio Oriente,
premendo su Israele e sul suo governo perché non
faccia prevalere le tentazioni oltranzistiche.
Dobbiamo dimostrare insomma che la politica estera dell'Europa
guarda anche e con crescente attenzione al Sud del mondo, per
esportare sviluppo e democrazia e per evitare di importare tensioni
sociali e instabilità politica.