LA SFIDA MEDITERRANEA
di Roberto Speciale
membro della commissione affari esteri del Parlamento Europeo
e vicepresidente della delegazione per le relazioni con i Paesi del Mashrek
Il programma per la città che i partiti e i candidati devono
produrre - urgente e utile anche per spostare l'attenzione dalle
polemiche astiose e un po' retrò alle idee - non
deve fermarsi ai problemi più urgenti e significativi della
dimensione urbana, ma deve cercare di individuare anche proposte
di respiro più vasto, che collochino Genova dentro le sfide
che si aprono al di fuori dei suoi confini. Tra le altre ne intravvedo
una che mi pare prioritaria e non priva di fascino.
Genova, cioè, dovrebbe giocare bene e con determinazione
la carta del Mediterraneo.
Mi spiego: l'Unione Europea ha lanciato da più di due anni,
con grande enfasi, la strategia euromediterranea, con l'obiettivo
di creare nel 2010 un'area di libero scambio fra Europa comunitaria
e i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. Per preparare quella
scadenza, sta predisponendo un'intensa attività economica
e politica, della quale fanno parte la conclusione di accordi
di associazione con tutti i Paesi terzi del Mediterraneo, gli
aiuti del programma MEDA - circa 10.000 miliardi di lire - e
i prestiti della Banca Europea degli Investimenti - altri 10.000
miliardi.
Il governo italiano, a sua volta, è diventato più
attivo in tutta l'area, e in particolare in alcuni Paesi significativi.
Il rilancio della cooperazione italiana, che si sta definendo,
dovrà essere un coerente corollario di questo impegno.
L'obiettivo è di creare nel Mediterraneo un'area di stabilità
politica e democratica, di sviluppo e di benessere. E' una sfida
difficile perché oggi sono ancora molte le tensioni,
i conflitti, le contraddizioni economiche e sociali che attraversano
quei Paesi. Ma l'Europa si mette alla prova proprio nei momenti
difficili e in questo caso deve dimostrare la sua capacità
di influenzare gli avvenimenti, di esportare democrazia e sviluppo
per evitare di importare instabilità e tensioni sociali.
Genova può e deve inserirsi in questa congiuntura politica.
La spinge a questo la sua storia lontana ma anche e soprattutto
il suo presente, la sua vocazione marittima, industriale, professionale,
la sua posizione di porta sul Mediterraneo.
Per svolgere questo ruolo la città deve accentuare il suo
carattere internazionale, guardare sempre più oltre le
mura domestiche, aprirsi al nuovo. Quando Genova, a cominciare
dal 400, diede vita a quello che si può definire un vero
e proprio Commonwealth commerciale, esteso sia ad est che
ad ovest del Mediterraneo, contemporaneamente la città
diventò un crogiolo di popoli e civiltà diverse.
Genova chiamava a sé uomini provenienti da molte
parti del mondo, concedeva facilmente la cittadinanza agli stranieri,
si caratterizzava per una diffusa tolleranza.
A quella dimensione, d'altra parte, non corrispose allora - e
questo, caso mai, è stato il vero limite di quella fase
storica - una capacità politica interna, una guida sicura
e unitaria: Genova era divisa tra famiglie in lotta fra loro e
separata, ad un certo punto, dal suo stesso potere finanziario.
Oggi non si tratta certo di pensare al Mediterraneo come terra
di conquista e di colonizzazione, ma ancora una volta si pone
il problema di costruire una struttura pubblica efficace, una
guida unitaria tra enti e soggetti diversi per assolvere ad un
ruolo di ponte fra il nord e il sud del Mediterraneo, per contribuire
ad essere una leva di sviluppo per gli altri Paesi e in questo
ritrovare una certa grandezza. L'Italia, in questi anni, rilancia
la sua politica estera mediterranea, guarda con attenzione in
particolare ad Egitto, Tunisia, Territori palestinesi etc., ripropone
la cooperazione come uno strumento di politica internazionale.
Facendo solo riferimento all'Egitto, Paese nel quale mi sono recato
recentemente con una delegazione del Parlamento Europeo, la cooperazione
italiana si concentra sullo sviluppo delle PMI, la gestione delle
risorse naturali, la protezione ambientale, la promozione dello
sviluppo sociale, l'introduzione di nuove tecnologie. E' previsto
un progetto per il controllo del traffico nel golfo di Suez, la
seconda fase dell'impianto di potabilizzazione di Hamul, un programma
di sostegno delle PMI e della creazione di joint-ventures, lo
studio di fattibilità per la ristrutturazione del Museo
egizio del Cairo e la realizzazione del nuovo museo di Gizah.
La nuova fase dei programmi Med per la cooperazione decentrata
(fra enti locali, università, media etc.), il pieno decollo
dello strumento MEDA, il probabile rilancio della cooperazione
italiana nel Mediterraneo costituiranno un'occasione unica nei
prossimi anni.
E' in questo contesto che la città può svolgere
un ruolo importante a livello nazionale. E allora bisogna pensare
in grande e agire di conseguenza.
Innanzitutto bisogna creare un contesto ambientale favorevole,
proporsi con questa ambizione a livello nazionale: la cultura,
l'economia e la politica debbono, pur mantenendo le proprie caratteristiche,
unirsi in un grande progetto comune, e debbono farlo in tempo.
Nella società dell'informazione, nel villaggio globale,
non basta avere buone idee, bisogna realizzarle. Non è
sufficiente un vantaggio iniziale per vincere la concorrenza:
in poco tempo gli altri ti possono raggiungere, le rendite di
posizione durano poco.
E' il momento di dar vita nella nostra città a un Centro
mediterraneo, una casa polifunzionale che diventi punto di riferimento
nazionale e in una certa misura internazionale del dibattito e
dell'iniziativa su questo terreno.
L'idea è quella di un contenitore di eccellenze che può
prevedere al suo interno moduli differenti e tempi diversi a seconda
delle energie e delle risorse che è in grado di attrarre.
Si può pensare in questo Centro non solo ad un'attività
culturale tradizionale, una sorta di società di cultura
del Duemila, ma anche, per esempio, a produrre una rivista di
qualità, come occasione di incontro tra cultura e civiltà
diverse, per far conoscere la produzione artistica e intellettuale
che si affaccia sulle due sponde mediterranee senza conoscersi.
Ma si può pensare, forse si deve pensare, anche ad attività
di formazione e di servizio, formazione professionale e linguistica
orientata alla cooperazione in quest'area, a banche dati, sportelli
di informazione sui programmi di cooperazione europei e italiani,
sulle occasioni di incontro economico, sui flussi di merci e di
persone. Si può pensare infine a favorire la nascita di
una organizzazione non governativa specializzata su quest'area
e ambiziosa che unisca le esperienze migliori e superi la frammentazione
e la debolezza esistente nel settore della cooperazione.
Quella iniziativa, se assume la dimensione e il significato a
cui si è accennato, è in grado di sollecitare una
parte stessa del tessuto economico, per costruire nuove attività
o rafforzare quelle esistenti. Basti pensare al turismo e ai
suoi servizi, ai trasporti marittimi, al nostro aeroporto.
Si potrebbe continuare, ma non è necessario. Se qualcun
altro considera questa una buona idea, allora occorre affinarla
e renderla fattibile, con la coscienza che questa iniziativa non
può che essere il prodotto di molte forze della città
e che può riuscire solo se tanti si mettono insieme per
costruirla.
Per quanto mi riguarda, voglio solo informare che sto preparando
un incontro e un numero della mia rivista sui temi del Mediterraneo.