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28 maggio 2022 | Il quotidiano on-line per gli operatori e gli utenti del trasporto | 11:54 GMT+2 |
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Dr. Marco Benacchio
"Lo spazio nell'economia dei porti: trasformazioni, attori, mercati ed equilibri" discussa il 7/02/2001 - Genova, in corso di pubblicazione Sintesi
Da qualche anno le tematiche connesse alla portualità sono oggetto di un autentico risveglio di interesse (politico, legislativo, operativo e, non ultimo, accademico). Quasi si assiste ad un "risveglio" da un letargo storico, radicalmente condizionato dal carattere marcatamente "pubblico" che ha contraddistinto per anni l'attività portuale. L'intenso dibattito che verte, a livello locale, nazionale ed europeo, sulle trasformazioni della portualità è trainato dall'importante inserimento delle attività portuali nel più ampio contesto di privatizzazione delle attività economiche, nell'ottica di riduzione dell'intervento del settore pubblico nell'economia, di un recupero di efficienza e dei principi della libera concorrenza (tutti orientamenti che in Italia hanno visto un primo importante momento legislativo con la l.84/94). A ben vedere, però, ciò attiene principalmente al momento del "servizio", distinto dal momento infrastrutturale. Di quest'ultimo, invece, vengono colti solo marginalmente alcuni aspetti puntuali considerati separati fra loro, molto spesso considerati come freno alla realizzazione di un regime di autentica competizione. Ne è un esempio quanto mai attuale il problema del port pricing per l'accesso alle infrastrutture, che si collega al più ampio discorso sugli assetti istituzionali e sul finanziamento degli investimenti portuali, alla questione dell'autonomia finanziaria e decisionale delle Autorità Portuali, alle ipotesi di federalismo fiscale dei porti (ultimamente molto interessanti con riferimento allo scenario italiano). Minore rilevanza, invece, anche nella letteratura economica, assume l'analisi delle trasformazioni della funzione portuale nell'utilizzo dei fattori della produzione della teoria economica classica (terra, capitale e lavoro). Fra di essi, inoltre, lo spazio passa ulteriormente in secondo piano rispetto al lavoro e al capitale, rispetto ai quali si è più volte dibattuta la tendenza al processo di sostituzione. Il presente lavoro di tesi parte proprio dalla constatazione di tale "mancanza" e dal riconoscimento del "territorio" come fattore critico di successo di un porto ed elemento chiave nel contesto dei "fallimenti" del mercato che contraddistinguono la portualità. L'analisi condotta si propone di definire un framework rispetto all'utilizzo del fattore spazio nella portualità, che sia il più ampio e sistematico possibile, proprio nell'ottica di tentare di razionalizzare un processo di land use portuale che si presenta clamorosamente disomogeneo anche solo in riferimento allo scenario europeo. Vengono, pertanto, presi in considerazione (con riferimento ad uno scenario europeo, ma con alcuni approfondimenti relativo al caso italiano):
L'articolato quadro di analisi proposto costituisce, inoltre,
un importante tassello del più ampio filone di ricerca
che ha caratterizzato le attività della sezione di "Geografia
Economica ed Economia dei Trasporti" del dipartimento DIEM
(Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi) dell'Università
di Genova, concernente l'evoluzione del ruolo dei porti per i
sistemi locali, con il quale si salda organicamente, contribuendo
a far luce su un significativo, anche se talvolta poco considerato,
aspetto della nuova economia dei porti e delle regioni portuali.
Introduzione Molte delle innovazioni intervenute negli ultimi trent'anni nel settore marittimo-portuale hanno avuto profonde conseguenze nei rapporti fra il porto e il sistema economico-territoriale che lo ospita:
Tutto ciò ha spesso costretto ad abbandonare i vecchi siti portuali, spesso non ampliabili anche a causa del fitto tessuto urbano circostante, e a spostarsi verso nuove aree, con spazi sufficienti e minori pressioni insediative, dove si concentrano gli investimenti e gli impianti più innovativi. Inoltre è sempre più percepita, anche nell'opinione pubblica e politica, l'incompatibilità tra funzioni portuali e tessuto urbano: da un lato il porto risente negativamente della congestione delle città; dall'altra, è mal tollerato l'impatto del porto sulla congestione, nonché sull'inquinamento marino, atmosferico, acustico, sulla sicurezza, sul pregio paesistico e ambientale della città e in particolare del suo waterfront. A questo si aggiunge che, se l'influenza dei porti sull'economia delle regioni che li ospitano è stata quasi sempre positiva, e la prosperità economica di intere città e regioni è stata inscindibilmente legata alla fortuna dei loro porti, alla luce dei cambiamenti recenti, l'impatto economico (positivo) di un porto tende sempre più ad essere internalizzato dalla catena logistica, fino, al limite, dal produttore o consumatore finale, e in tal modo a diffondersi verso il sistema economico del bacino di utenza, nonché eventualmente (attraverso le tasse legate alle operazioni portuali) verso il sistema fiscale di appartenenza. Questo sintetico quadro evoca la possibilità di una evoluzione problematica e patologica delle trasformazioni economiche e territoriali indotte, in maniera tutto sommato neutrale, dalle evoluzioni nel ciclo del trasporto e nell'economia delle regioni portuali, nel senso di una perdita di importanza di tutto ciò che lega l'economia locale al mare, al porto, ai traffici marittimi. Con la conseguenza che - in questi porti e in queste regioni - il rapporto fra porto e territorio da una parte si affievolisce e dall'altra ne viene enfatizzata la componente "negativa" (esternalità negative). Si alimenta, in alcune situazioni, un processo cumulativo in cui ad una perdita di "coscienza" o di "vocazione" marittima consegue uno scadimento dell'industria marittimo-portuale, minori investimenti, minori interessi e perdita di priorità delle scelte politiche sul versante marittimo, riposizionamento nell'utilizzo delle risorse/fattori del sistema locale verso altri settori ritenuti a torto o a ragione maggiormente strategici per lo sviluppo regionale. Laddove, all'opposto, in altre regioni portuali si concentrano traffici e investimenti, aumenta il controllo sui cicli del trasporto e sulla logistica industriale, gangli vitali dell'economia mondiale di questi anni, in cui l'apertura dei mercati raggiunge il suo massimo storico e i cicli produttivi sono costituiti da una sequenza sempre più articolata di attività di trasformazione e trasporto.
Ci si deve però chiedere come mai, nell'evoluzione
di questo rapporto, le trasformazioni in questione - che interessano
tutta l'industria del trasporto e l'industria portuale, e non
sono legate ad un particolare contesto geografico o istituzionale-normativo
- abbiano spesso dato luogo a scenari opposti, (che si potrebbero
definire, per comodità, di demaritimisation e di
remaritimisation). La stessa trasformazione del nodo portuale
da momento iniziale o finale di un sistema di trasporto semplice
a nodo intermedio della catena logistica, pur essendo l'elemento
decisivo nel determinare questa evoluzione, non spinge di per
sé in una delle due direzioni, potendo alternativamente
determinare la perdita di importanza a favore di terminali interni
o di un ristretto numero di porti leader, oppure al contrario
aumentare i margini di crescita e di indotto dell'economia portuale
ben al di là della tradizionale funzione di intermediazione
per l'hinterland e di attrattore per l'industria pesante e le
attività di trasformazione. Contenuto Una delle principali chiavi di lettura va probabilmente ricercata nei meccanismi allocativi legati all'uso dello spazio, e di conseguenza alle modalità di governo del territorio portuale e periportuale, nonché all'insieme dei problemi che ad esso più o meno direttamente si connettono. Molti dei cambiamenti intervenuti nell'economia della nave e del porto, infatti, fanno emergere la crescente importanza dello spazio come risorsa scarsa (oltre che l'importanza della connessione fra porto e reti terrestri, interne ed esterne alla città portuale), e, al tempo stesso elemento critico su cui si gioca una buona parte della competitività portuale. Questo lavorò sarà pertanto dedicato ad indagare i temi della strategicità dello spazio nel funzionamento della port industry, dei meccanismi di funzionamento (e talora malfunzionamento) del mercato dello spazio portuale, del ruolo e degli obiettivi dei diversi attori coinvolti, sia sul fronte dell'industria portuale (ma anche del ciclo del trasporto e della logistica), sia sul fronte della comunità locale e delle istituzioni di governo. Il fine è quello di analizzare come il ruolo centrale dello spazio nella attuale competizione interportuale possa conciliarsi con una funzione dello stesso volta a massimizzare i ritorni (principalmente economici) dei sistemi locali che ospitano i porti. La ricerca di una sintesi fra le pressioni della transport industry per un miglioramento dell'efficacia del nodo portuale, che spesso conducono ad un elevato consumo di spazio ceduto sottocosto agli operatori, e la consapevolezza che lo spazio rappresenta una risorsa preziosa della comunità locale che dovrebbe essere destinata ad un efficiente uso portuale sulla base di attente valutazioni di opportunità, introduce una delle più importanti sfide per il governo dei porti e delle regioni portuali: la frontiera di una portualità sostenibile. Sfida importante e complessa, nella misura in cui efficacia ed efficienza del nodo portuale implicano un trade off nell'utilizzo del fattore spazio, ma estremamente cruciale affinché i porti costituiscano ancora il motore economico ed il simbolo delle regioni portuali.
L'argomento dimostra, inoltre, la sua estrema attualità
nel fervore del dibattito corrente in materia di economia e politica
portuale, in particolar modo in seguito al processo di privatizzazione
innescato negli ultimi anni, che ruota intorno allo strumento
della concessione. Rischi di overcapacity, ripartizione
dell'onere degli investimenti portuali, politiche di concessione
dei terminal e di determinazione dei canoni, governo del territorio
ed evoluzione dei modelli di Autorità Portuale, costituiscono
infatti alcuni dei temi che studiosi e decision makers
da qualche anno stanno dibattendo a livello locale, nazionale
e sovranazionale (es. europeo). E' opportuno sottolineare come
a siffatta attualità delle tematiche corrisponda un quasi
inesistente tentativo di sistematizzazione delle varie tesi. Esse,
costituiscono tasselli di un mosaico che si ricompone in interrogativi
di ben più ampie proporzioni: qual è, attualmente,
la rendita generata dai porti? E ancora: quali ne sono i confini?
Come si distribuisce fra i soggetti che rendono parte al processo
di produzione portuale? Come si configura la remunerazione dei
fattori impiegati? Come armonizzare razionalità economica
e diffusione territoriale degli investimenti nell'industria portuale?
Articolazione Il lavoro si propone pertanto di far luce sul complesso quadro delineato alla luce delle molteplici relazioni che interessano l'utilizzo del fattore spazio. Si articola secondo una logica di progressivo restringimento di campo (vedi diagramma), per cui ciascun capitolo costituisce le premesse per il capitolo successivo, nel quale si analizza più a fondo un aspetto specifico precedentemente introdotto. Gli output di ogni capitolo costituiscono a loro volta tasselli per la ricomposizione finale del quadro e l'individuazione di linee di policy per recuperare efficienza ed efficacia nel land use portuale.
Una prima sezione è dedicata ad una panoramica
degli scenari di evoluzione (nel settore marittimo e portuale,
ma anche nell'economia e nel governo territoriale) alla luce dei
quali leggere il nuovo ruolo dello spazio nella port industry
e le modalità del relativo fabbisogno crescente (Capitolo
1). Nella seconda sezione si affronta l'analisi del mercato dello
spazio portuale, identificandone i meccanismi che ne regolano
la destinazione (ad un uso port related) e l'allocazione
(agli operatori), ed evidenziandone "equilibri", conflitti,
sinergie ed inefficienze (Capitolo 2). La terza sezione rappresenta
un approfondimento delle dinamiche del rapporto esistente fra
ente di governo portuale e operatore terminalista, in riferimento
ad un modello di gestione landlord, nella gestione del contratto
di "concessione" (Capitolo 3). Il quarto capitolo mette
a fuoco il momento di un'impresa terminalista particolare, quella
operante nel settore contenitori, analizzandone aspetti operativi,
costi ed alternative di gestione del fattore spazio (Capitolo
4). Nella sezione finale si riprendono i principali risultati
dell'analisi condotta, evidenziando i collegamenti fra di loro
e con altre questioni rilevanti, tentando di delineare alcune
linee di indirizzo e policies atte ad orientare le dinamiche
evolutive verso obiettivi di sostenibilità dell'industria
portuale e di rilancio delle sinergie fra il porto e il suo sistema
locale (Capitolo 5). Infine, un'ampia rassegna della normativa
e di alcuni aspetti qualitativi e quantitativi delle concessioni
in riferimento al caso italiano, costituisce allegato autonomo
(Appendice 1), mentre in Appendice 2 (non evidenziata nel diagramma)
si riportano i dati di base per le elaborazioni contenute nel
capitolo 4.
Un'ultima considerazione riguarda le fonti bibliografiche
ed il materiale disponibile. La questione relativa alla destinazione
e allocazione dello spazio presenta i caratteri tipici della decisione
politica, frutto della mediazione fra molteplici interessi, e
fa riferimento più a un insieme di regole e codici "non
scritti", che a informazioni e dati ufficiali e condivisi.
Questa è stata una delle grandi difficoltà del progetto:
riuscire ad addentrarsi e a quantificare alcune variabili economiche
in un contesto che fa della rendita d'informazione uno dei punti
di forza, e che pertanto si mantiene volutamente poco trasparente.
Numerose interviste e indagini dirette a diversi attori del processo
decisionale concernente il land use portuale sono state
utili per inquadrare i molteplici ed intricati aspetti della tematica
anche oltre i contributi della letteratura economico-portuale,
sia in riferimento allo scenario italiano che a quello nord europeo.
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