Ancorare i porti al territorio. Dai traffici alla marittimizzazione, McGraw-Hill, Milano
Musso, E. - Ghiara, H. (a cura di)
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Abstract
Il boom del commercio internazionale - dovuto alla
rilocalizzazione mondiale delle produzioni e ai mutamenti nei mercati
delle materie prime e dei consumi - fa crescere i traffici sul mare e
nei porti. Questi, perduti i monopoli geografici del passato,
competono sempre più aspramente. Ma la crescita dei traffici
non garantisce alla regione portuale un aumento del valore aggiunto e
dei benefici economici, mentre implica l’uso di spazio e
infrastrutture e costi ambientali crescenti, fonte di conflitti e
possibili “rifiuti” (lo scenario della
demarittimizzazione delle città portuali). Occorre
allora non solo puntare sull’efficienza del ciclo logistico, ma
sui benefici economici e il valore aggiunto in loco, ormai il
vero indicatore del successo durevole di un porto. Quel che conta non
è tanto l’occupazione diretta delle attività
portuali, in calo a causa dell’automazione e delle economie di
scala, ma l’occupazione e il valore aggiunto delle attività
indotte o attratte dai porti, il cui insediamento dipende assai più
dal contesto delle altre imprese e delle istituzioni che dal volume
di traffico. Il concetto di cluster marittimo-portuale diventa
allora essenziale per la competitività economica dei sistemi
portuali, anche a scale subregionali o interregionali. Proprio dal
cluster può venire una crescita dell’economia
portuale indipendente da quella del traffico (che il territorio quasi
mai può sostenere all’infinito). Può nascere,
cioè, la (ri)marittimizzazione, o capacità di
creare su un territorio, anche vasto e a rete, un contesto di
eccellenza - fatto di imprese, istituzioni, formazione e capacità
innovativa - che ponga ancora il porto come polo trainante per la
logistica, cuore strategico dell’economia globale del secolo
XXI.
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