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1 aprile 2021
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- Assoporti e le AdSP italiane illustrano il loro ricorso
presso il Tribunale dell'UE sulla tassazione dei porti
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- La Commissione Europea - sostengono i ricorrenti - ha
inanellato una serie di clamorosi errori interpretativi
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È chiara da tempo la posizione della Commissione Europea
in merito alla tassazione degli organismi che governano i porti
dell'UE, che - secondo Bruxelles - laddove esercitano attività
di tipo economico devono essere sottoposti alle norme europee sugli
aiuti di Stato e, nel caso che operino appunto attività
economiche, devono essere soggetti alle imposte sul reddito delle
società.-
- È chiara da altrettanto e ancor più tempo il
parere dell'Italia sulla questione: le Autorità Portuali
italiane, ora diventate Autorità di Sistema Portuale (AdSP),
operano per lo Stato amministrando per suo conto le aree demaniali
dei porti, ivi inclusa l'attività di riscossione dei canoni
di concessione, e sono tutto fuorché delle imprese la cui
condotta deve ricadere sotto le normative UE sugli aiuti statali.
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- Alla fine dello scorso anno la Commissione Europea ha chiesto
all'Italia di cancellare l'esenzione per le AdSP dalle imposte sulle
società, mancato assoggettamento che rappresenterebbe un
aiuto di Stato incompatibile con le norme comunitarie
(
del 4
dicembre 2020). Intimazione contro cui si sono schierate
compatte le Autorità di Sistema Portuale italiane che, con il
coordinamento dell'Associazione dei Porti Italiani (Assoporti),
hanno depositato presso il Tribunale dell'Unione Europea un ricorso
chiedendo l'annullamento della decisione della Commissione. Le
motivazioni del ricorso sono state spiegate oggi dal presidente di
Assoporti, Daniele Rossi, assieme ai presidenti delle AdSP che si
sono specificamente dedicati alla composizione del ricorso, Massimo
Deiana e Ugo Patroni Griffi, assistiti da un team di legali
costituito dagli avvocati Francesco Munari, Stefano Zunarelli, Gian
Michele Roberti e Isabella Perego che ha presentato il ricorso.-
- Per i presidenti delle AdSP, il ricorso non rappresenta una
battaglia contro l'UE, ma per una corretta applicazione delle norme
comunitarie e piuttosto contro la decisione assunta dalla
Commissione Europea che - ha sottolineato Deiana - «ha
inanellato una serie di clamorosi errori interpretativi», tra
i quali il più evidente - si spiega nel ricorso - è
quello di «ignorare la natura pubblicistica del modello di
organizzazione portuale scelto dal legislatore italiano».
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- Nel ricorso si evidenzia che gli Stati membri dell'Unione
Europea hanno organizzato il settore portuale secondo sistemi di
governance molto differenti e che, diversamente dagli altri Stati
membri (Francia, Belgio e Olanda) a cui la Commissione Europea ha
inviato analoghe decisioni circa il regime di tassazione delle
società per azioni che in tali Stati gestiscono
commercialmente i porti, arrivando talvolta - si sottolinea - a
svolgere operazioni e servizi portuali, «l'Italia ha riservato
alla mano pubblica, in modo coerente e sistematico, ogni aspetto
legato al settore portuale: la proprietà dei beni,
appartenenti al demanio indisponibile dello Stato, l'amministrazione
degli stessi, riservata in via esclusiva alle AdSP territorialmente
competenti, la riscossione da parte delle AdSP dei canoni demaniali
da parte dei concessionari, che sono vere e proprie tasse pagate dai
concessionari direttamente allo Stato e solo riscosse dalle AdSP».
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- Secondo i ricorrenti, la Commissione traviserebbe anche «il
ruolo e le prerogative delle AdSP che, nell'ordinamento italiano,
appartengono sotto il profilo organico e funzionale allo Stato».
Si osserva infatti che, «in quanto pubblica amministrazione,
alle AdSP sono riconosciute le medesime prerogative che spettano
alle altre entità infrastatali, come le Regioni o i Comuni, a
cui lo Stato conferisce il compito di amministrare determinate aree
territoriali». Regioni ed altri enti locali che «gestiscono
i beni pubblici con le stesse modalità applicate dalle AdSP.
Ad esempio - si rileva - l'accesso ai privati è permesso
mediante concessione - e non con un contratto di locazione, come
sostiene la Commissione - e a fronte della contestuale riscossione
di una tassa per l'occupazione del bene pubblico, riscossa da tali
enti territoriali».
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- Ad avviso dei ricorrenti, «è dunque logico e
coerente che AdSP, Regioni, Comuni e le altre entità
infrastatali legate allo Stato da un rapporto organico e funzionale
siano soggette al medesimo regime sotto il profilo dell'imposta
delle società. Infatti, secondo la disciplina tributaria
italiana - si ricorda - nessuno di questi soggetti è soggetto
a IRES».
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- Un nodo centrale della questione è quello dei canoni di
concessione pagati dai terminalisti portuali per poter usufruire
delle aree su cui esercitano le loro attività. La Commissione
Europea ritiene che chi ha la proprietà delle aree, poco
importa se sia un privato, un ente pubblico o lo Stato, quale
locatore debba essere soggetto alle imposte sul reddito delle
società. Secondo Assoporti, le AdSP italiane e gli studi
legali che le hanno assistite, invece, si tratta di
un'interpretazione errata che esclude la natura tributaria dei
canoni demaniali e delle tasse portuali riscosse dalle AdSP per
conto dello Stato. I ricorrenti puntualizzano che nella decisione di
Bruxelles, infatti, «non viene riconosciuto che,
nell'ordinamento italiano, i canoni demaniali (e, a maggiore
ragione, le tasse portuali) non sono un corrispettivo di un'attività
economica (inesistente), ma l'assolvimento di una tassa, il cui
importo è fissato direttamente dalla legge secondo parametri
fissi legati alla superficie dell'area concessa che viene pagata dal
concessionario allo Stato proprietario del bene». I ricorrenti
sottolineano che le AdSP «si limitano a riscuotere tale
imposta per conto dello Stato e, dunque, neppure ne negoziano
l'ammontare con i soggetti interessati».
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- Si precisa inoltre che, al riguardo, Corte di Giustizia dell'UE
e Commissione Europea «hanno costantemente ritenuto che la
presenza di un canone direttamente fissato dall'impresa che gestisce
un'infrastruttura è condizione imprescindibile ai fini della
sua qualificazione come impresa: soltanto se il corrispettivo è
negoziato, infatti, si è in presenza di un'attività
economica». «Ciò non si verifica nel caso di
specie», chiariscono nuovamente i ricorrenti che puntualizzano
come «la natura tributaria dei canoni demaniali e delle tasse
portuali sia pure confermata dal fatto che sugli stessi non è
dovuta l'IVA, in base al principio generale per cui non si pagano
tasse sulle tasse». Osservano inoltre che, «per contro,
in tutti gli Stati altri membri a cui la Commissione ha contestato
l'esenzione dalla tassazione delle società commerciali che
ivi gestiscono i porti, i corrispettivi che le stesse riscuotevano
dall'utenza portuale erano, incoerentemente, soggetti a IVA».
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- «La misura fissa del canone per tutti gli aspiranti
concessionari - puntualizzano ancora i ricorrenti - dimostra che le
AdSP non possono modificare il prezzo dei “beni” che,
secondo l'erronea impostazione della Commissione, esse offrirebbero
sul “mercato” per incentivare soggetti terzi a
utilizzare il porto che ricade sotto la loro competenza
territoriale». Secondo Assoporti e le AdSP italiane, «ciò
conferma un ulteriore grave errore commesso dalla decisione
impugnata: le regole in materia di aiuti di Stato - spiegano - si
applicano soltanto nei settori aperti alla concorrenza che, infatti,
deve essere pregiudicata dal presunto aiuto, a pena
dell'inapplicabilità delle norme sugli aiuti. Poiché
l'Italia si è invece riservata in esclusiva sia la proprietà
sia l'amministrazione dei beni demaniali portuali, e quindi non ha
aperto alla concorrenza il settore portuale - rilevano inoltre i
ricorrenti spalancando le porte alle più svariate convinzioni
sia relativamente al significato di “concorrenza” sia a
quello di “settore portuale” - l'art. 107 TFUE non è
applicabile alle AdSP, giacché con riguardo alle loro
attività non esiste alcun “mercato” né
concorrenza neppure potenziale. E infatti la Commissione non ha
individuato alcuna impresa concorrente delle AdSP, né avrebbe
potuto. Non essendoci un mercato, non possano esserci effetti
distorsivi della concorrenza sullo stesso».
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- «Infine - concludono i ricorrenti - è altrettanto
errata quella parte della decisione impugnata in cui la Commissione
ritiene che l'esenzione delle AdSP dall'imposta sul reddito delle
società determinerebbe un onere finanziario a carico dello
Stato. Infatti, le entrate delle AdSP, ivi incluse le tasse che esse
riscuotono per conto dello Stato, sono soggette a vincolo di
destinazione e sono finalizzate a permettere la realizzazione della
missione istituzionale delle AdSP, i.e. l'amministrazione di una
parte di territorio per conto dello Stato. Quanto ipoteticamente
corrisposto a titolo di imposta sul reddito sarebbe pertanto
compensato dallo Stato con maggiori contributi al funzionamento
delle stesse AdSP che non possono cessare la loro attività
amministrativa (al pari, ancora una volta, di Regioni e Comuni)».
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- Introducendo le motivazioni del loro ricorso, Assoporti, le AdSP
e il team di avvocati hanno rilevato che «in assenza di
un'armonizzazione a livello dell'Unione», «gli Stati
membri hanno organizzato il settore portuale secondo sistemi di
governance molto differenti». Verrebbe da replicare che le
iniziative della Commissione Europea sono proprio intese a
introdurre quella armonizzazione tra i differenti modelli di
governance portuale attualmente in vigore nell'UE. Un'armonizzazione
che - si potrebbe pure, a onor del vero, osservare - andrebbe
ricercata attraverso iniziative concordate dall'organo legislativo
dell'Unione Europea piuttosto che attraverso “decreti
governativi” emessi dall'organo esecutivo dell'UE.
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- Armonizzazione che, stando alle parole del team di avvocati che
ha assistito Assoporti e le AdSP, parrebbe essere assai arduo
raggiungere, almeno da parte dell'Italia. Si è parlato,
infatti, di una vera e propria rivoluzione copernicana necessaria
per cambiare l'attuale modello italiano di gestione dei porti,
intendendo evidentemente in questo caso quella di Copernico come
un'involuzione piuttosto che un'evoluzione.
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- Ancora più tranchant il parere di Ugo Patroni Griffi: «il
modello né carne né pesce - ha sostenuto - non
funziona».
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- Pare di capire che, o i giudici europei accolgono le tesi
dell'Italia, oppure crolla il mondo. Eppure non è accaduto
neppure con Copernico.
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- Lo avevamo già capito con le reazioni ad un nostro
editoriale sul “muro contro muro” fra Italia e
Commissione Europea sulla tassazione dei porti
(
del 7
dicembre 2020). Più che una questione di modello di
governance, si tratta di una questione ideologica, dove per
ideologia ci si riferisce alle convinzioni sull'esistenza di Dio. Da
cui: ideologie che sono immutabili.-
- Chi scrive è convinto che la realtà sia mutevole e
da europeista, rubando le parole allo Zarathustra di Nietzsche,
inviterebbe piuttosto ad essere reietti da tutte le patrie dei padri
e degli avi e ad amare la terra dei figli.
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- Bruno Bellio
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