Journal indépendant d'économie et de politique des transports
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI CONTAINERS
ANNO XXXVIII - Numero 31 GENNAIO 2020
PORTI
CAMBIAMENTO CLIMATICO: RISPOSTE NON FACILI
I porti sono particolarmente esposti agli effetti del
cambiamento climatico, ma valutarne il rischio è una
decisione difficile che non ha risposte facili, scrive Stevie
Knight.
Oltre la metà delle risposte iniziali alla recente
indagine "NCC - Navigating a Changing Climate" ha
indicato che i porti "stanno sperimentando un numero maggiore
di eventi estremi e più spesso" afferma il coordinatore
Jan Brooke, aggiungendo: "Fra quelli che hanno riferito uno
specifico evento, quasi la metà ha detto che era senza
precedenti".
Questa non è stata l'unica sorpresa.
Quando l'indagine (intrapresa da PIANC, IAPH ed altri partner)
venne promossa, Brooke "si aspettava di constatare che i costi
di riparazione fossero il problema principale".
Tuttavi, mentre il 30% di coloro che hanno risposto ha riferito
danni 'gravi' o 'seri', il 50% di loro ha attribuito queste medesime
categorie alle chiusure o ai tempi morti e oltre un terzo ha
sperimentato un blocco di 24 ore o più.
Le questioni croniche, peratnto, non si sono limitate a coloro
che si era ritrovati le proprie infrastrutture a repentaglio.
Passando ai dettagli, mentre il 14% degi interpellati ha detto
che i propri conti relativi alle riparazioni sono stati dell'ordine
di milioni di dollari, anche le chusure ed i tempi morti hanno
colpito i porti dove fa male.
Di coloro che hanno potuto pressare tali eventi, il 30% li ha
stimati fra i 10.000 ed 1 milione di dollari, mentre un altro 6% ha
affermato di averne avuto per complessivi 10 milioni di dollari.
È una problematica in aumento.
Anche se le navi in uscita che hanno bloccato l'ingresso di
Durban hanno fatto notizia nel 2017, la tendenza sottesa è
probabilmente una vera problematica per le aziende.
Come nota il Dr. Kana Mutombo, responsabile del progetto
cambiamento climaticoe capo ingegnere ricerca e sviluppo alla TNPA
(Transnet National Ports Authority), "riceviamo sempre più
rapporti di notevoli ritardi nei nostri porti in Sudafrica".
Anche se è ragionevole aspettarsi che i porti si tengano
aggiornati in ordine a questo elemento, "fra quelli che hanno
risposto alla nostra indagine relativamente pochi possono fornire
una stima dei costi della chiusura o dei tempi morti del porto"
afferma Brooke, dichiarando poi "E questo è
preoccupante.
Dopo tutto, come si possono perorare risorse per rafforzare la
resilienza se se non si può attribuire un prezzo alle
conseguente del non fare?".
Il problema reale che resta dietro a questa posizione è
che i porti hanno bisogno di calcolare il rischio: ma con dadi molto
ponderati su un tavolo irregolare.
"Il guaio è che questi effetti si accumulano"
afferma Don Cockrill della Maritime Pilots' Association del Regno
Unito.
"Non si subisce solo un impatto 'medio', si subiscono
impatti cumulativi.
Le tempeste estive più intese, ad esempio, con più
piogge sostenute, significano che la corrente stessa sarà più
forte.
E anche questo comporta conseguenze per le manovre navali".
Infatti, i fiumi in piena hanno comportato la chiusura dl porto
di Itajal in Brasile per tre settimane e, come spiega Adrienne
Newbold del Porto di Los Angeles, riguardo alle previsioni
dell'aumento del livello dle mare "dobbiamo aggiungere altri
0,8 metri" al calcolo delle mareggiate.
"Per di più, tali questioni presentano un carattere
multidimensionale", aggunge Cockrll: "L'incremento del
livello dell'acqua significa anche un aumento dei detriti"
spiega.
Pur presentando un fattore di rischio inferiore rispetto agli
eventi del 2017, questo ha indotto per i recenti incidenti di Durban
un certo fattore spiacevole.
Solo la scorsa primavera, le piogge hanno mandato giù
tronchi abbastanza grossi da rendere difficile ad una manciata di
navi di ormeggiarsi, oltre a far vorticare acque reflue, acque di
fogna e grandi quantità di rifiuti.
Il rapporto "Ocean and Cryosphere in a Changing Climate"
dell'IPCC sottolinea altresì che "eventi composti a loro
volta innescano impatti a casacata".
In Tasmania, ad esempio, le ondate di calore e le tempeste hanno
fatto sì che le unità di emergenza si sono trovate a
lottare contemporaneamente contro sia inondazioni che incendi nei
boschi causati da fulmini.
Inoltre, le normali fonti di energia idroelettrica si sono
prosciugate ed il cavo di alimentazione dall'Australia, lasciando la
popolazione a fare affidamento sui generatori diesel.
L'effetto sui risultati produttivi portuali possono essere
quantificati.
Secondo la ricerca dell'IPCC "System inter-dependencies"
esso ha ridotto il prodotto statale lordo della Tasmania all'1,3%,
ben al di sotto della crescita prevista del 2,5%.
Ma come si può quantificare i rischi correlati?
Mutombo illustra il problema: "È importante notare
che il cambiamento climatico è caratterizzato da una costante
incertezza, cosa che petranto rende inappropriati i tradizionali
metodi probabilistici per la gestione del rischio".
Inoltre, le problematiche non arrivano mai secondo i programmi o
anche dalla direzione attesa.
James Trimmer dell'Autorità Portuale di Londra spiega che
cosa è successo sul fiume Tamigi: "Presumiamo che il
cambiamento climatico abbia voluto dire più tempeste ed
infine un aumento del livello del mare... e noi pensavamo che
avvenisse fra decenni".
"Tuttavia, nell'inverno immediatemente successivo le piogge
sono andate avanti per mesi ed improvvisamente ci siamo ritrovati
con gli equipaggi delle piccole imbarcazioni a fronteggiare
condizioni potenzialmente letali, ovvero con le barche a remi
incastrate sotto i moli dalla corrente" afferma Trimmer.
Il dirigente aggiunge che è stato introdotto un sistema
di bandiere di avvio "per portare a casa la natura
imprevedibile di questi eventi".
Come sottolineano questi eventi, non si tratta solo dei pesanti
investimenti in infrastrutture.
Pertanto, è sconcertante che l'indagine NCC abbia
indicato che un numero significativo di porti siano ancora carenti
di procedure di risposta di base.
Solo il 14% ha riferito di disporre della valutazione degli
eventi meteorologici estremi, di un piano di emergenza e di un
sistema di avvisi, "ma preoccupa ancor di più che il 30%
dica che non hanno nulla di tutto ciò" afferma Brooke:
"Un piano di emergenza potrebbe non contribuire ad evitare le
chiusure, ma potrebbe certamente contribuire a risollevarsi e ad
andare più veloci".
Malgrado ciò, alcuni sono già consapevoli della
necessità di schierare risorse e mettere assieme non una ma
una serie di strategie con diverse tempistiche.
È interessante notare come il rapporto dell'IPPC sia del
parere che, alle prese con l'incertezza, quello che serve sia "un
approccio integrato per assicurare un compromesso fra gli utili a
breve termine e quelli a lungo termine".
Sembra che questo sia l'approccio adottato dalla TNPA, che ha
costituito un gruppo di ricerca sul clima che vagli sia la futura
resilienza che le più immediate iniziative di continuità
aziendale "in collaborazione con i vari portatori d'interessi
individuati".
Fra questi portatori d'interessi dovrebbero esserci i piloti
locali, afferma Cockrill, perché spesso essi sono la parte
finale del problema.
Mentre i maggiori effetti di pressione possono influire sulle
profondità delle maree fino al punto in cui le navi non
possono entrare come previsto, ci sono sfide più sottili,
come la direzione del vento.
"Un cambiamento nei modelli di pressione può
significare che si ottiene di più, e venti orientali più
forti, per esempio", afferma Cockrill.
Ciò può presentare problematiche per quei porti e
gli scali progettati per ripararsi da un flusso d'aria
nord-occidentale e può comportare maggiori problemi di
ormeggio eattracco e disormeggio delle navi ".
Le condizioni meteorologiche più estreme non si adattano
bene all'evoluzione delle navi, afferma Allan Gray, presidente della
International Harbourmasters Association.
"Le navi portacontainer di nuova generazione sono molto più
grandi nell'area di deriva", sottolinea, quindi venti da 20 a
30 nodi che potrebbero essere stati semplicemente scomodi per i
progetti precedenti "sono ora fuori dai parametri di queste
navi".
Gray aggiunge che le disposizioni di ormeggio spesso non hanno
tenuto il passo con il cambio di scala, quindi le forze risultanti
possono spingere i carichi di linea oltre i limiti di sicurezza.
Alla luce di tutto ciò, bastano solo "alte brezze
marine pomeridiane o normali bufere invernali" per ridurre le
capacità di un porto, afferma Gray.
Per coloro che guardano a questa posizione con più
disagio di un chiaro percorso in avanti, Brooke raccomanda di
raccogliere dati locali anche dagli enti locali di monitoraggio
meteorologico per dare un'idea delle tendenze.
Tuttavia, la ricerca non dovrebbe fermarsi qui, data la mancanza
di prevedibilità associata agli eventi evidenziati.
I rapporti globali, come il documento dell'IPCC, sono essenziali
per aiutare a mettere le cose nel contesto.
Va detto che questo studio non offre una lettura comoda e
nemmeno Brooke è ottimista riguardo alle attuali traiettorie
climatiche.
"Attualmente siamo sulla buona strada per un aumento
significativamente superiore a 2° C", spiega.
"Anche se siamo riusciti a realizzare un enorme cambiamento
e abbiamo raggiunto l'obiettivo di 1,5° C, gli impatti come
l'innalzamento del livello del mare sono già bloccati da
decenni."
Chris Cannon del Porto di Los Angeles vede vantaggi pratici nel
pensare al futuro e nel fare soldi dove può essere più
efficace: "Non ci vogliono molti più investimenti per
incorporare misure di resilienza climatica in un nuovo progetto in
cui si sta partendo da zero.
È molto, molto più costoso provare ad aggiungere
misure in seguito.
Ecco perché siamo proattivi."
Tuttavia, come rileva il documento dell'IPCC "il rapporto
tra investimenti per la riduzione del rischio e riduzione dei danni
di eventi estremi varia", aggiungendo che mentre la prevenzione
e la preparazione "è molto probabilmente inferiore al
costo degli impatti e del recupero", non esiste alcuna garanzia
finale.
Inoltre, potrebbe non esserci una risposta facile.
"Per alcuni porti potrebbe essere impossibile giustificare
la protezione di tutto quanto", afferma Brooke.
"Mentre alcune misure per migliorare la resilienza saranno
praticabili, altre potrebbero rivelarsi un boccone troppo grande da
ingoiare.
Di conseguenza, alcune strutture potrebbero semplicemente essere
lasciate al loro destino, potenzialmente prima del previsto.
Conclude: "Come con altre infrastrutture costiere esposte e
vulnerabili, forse dobbiamo dire che 'questo porto in questa
posizione non sarà praticabile tra 30 anni, non possiamo
permetterci di proteggerlo, quindi dobbiamo cercare di trasferirci".
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