Convegno
"Savona nella logistica del sistema portuale
dell'Alto Tirreno"
26 aprile 1999
Relazione del
Prof. Giuseppe Sciutto
Presidente dell'Autorità Portuale di Savona - Vado
Negli anni recenti processi macroeconomici quali il dirottamento
delle produzioni agroalimentari e delle attività manifatturiere
industriali verso Paesi in via di sviluppo, oltre a positive scelte
tecnologiche, come l'affermarsi della containerizzazione, e successivamente
del gigantismo sia dei mezzi navali che degli impianti a terra,
hanno consentito ai trasporti marittimi di superare una fase di
declino per diventare parte fondamentale delle catene distributive,
perfettamente in linea con le logiche del just in time. I trasporti
marittimi, nel confronto con altre modalità, presentano
inoltre oggettivi margini di crescita se si considera che mari
e oceani occupano oltre il 70% della superficie terrestre e la
contiguità dei bacini consente la comunicazione tra i vari
punti dell'idrosfera senza l'attraversamento di terre emerse.
Un ulteriore elemento che rafforza il ruolo dei trasporti marittimi
è dato dal fatto che, a livello mondiale, nella fascia
entro 50 km dalla costa (che rappresenta solo il 12% delle terre
emerse) si addensa il 30% della popolazione.
Così già oggi i trasporti via mare coprono il 90%
degli scambi commerciali tra i Paesi dell'UE e le Nazioni esterne
ed il 30% degli scambi interni alla Comunità, mentre nel
caso dell'Italia, il 45% delle importazioni e il 66% delle esportazioni
avvengono per via marittima.
La politica comunitaria per il sistema europeo dei trasporti
In considerazione del ruolo determinante dei trasporti, e di quelli
marittimi in particolare, per il progresso socio-economico, notevoli
aspettative sono legate al processo di integrazione tra i Paesi
dell'Unione Europea, tuttavia, alla creazione del mercato unico
a sostegno del sistema produttivo interno ad oggi non ha fatto
seguito un'azione altrettanto efficace nel settore dei trasporti
e delle reti, che hanno continuato a svilupparsi privilegiando
piani di scala nazionale a discapito di visioni di sistema.
In questo modo si è creato un gap enorme tra sistema produttivo
e reti di trasporto; per colmarlo si è inizialmente seguito
un approccio bottom-up, individuando i punti deboli del sistema
e definendo, per eliminarli, progetti di grande infrastrutturazione
(14 progetti di Essen); tuttavia questa strategia, mirata a obiettivi
di lungo termine, non ha saputo offrire risposte adeguate alle
veloci dinamiche di sviluppo dell'industria, che, di conseguenza,
ha adattato i propri metodi di distribuzione al sistema di trasporto
esistente, privilegiando, necessariamente, la distribuzione su
gomma e accentuando i problemi di squilibrio modale.
Particolarmente significativi, in questo senso, sono i dati recentemente
illustrati dall'ing. Salvarani, nuovo responsabile della DGVII
per le Reti Transeuropee di Trasporto, relativi agli investimenti
UE su fondi TEN effettuati dal 1995 ad oggi, che dal punto di
vista geografico hanno continuato a interessare le regioni più
sviluppate:
Centro Europa | 33% |
Mediterraneo | 21% |
Atlantico | 19% |
Baltico | 14% |
Regioni periferiche | 13% |
e sono stati ripartiti tra le varie modalità tralasciando
i trasporti marittimi in posizione marginale e trascurando completamente
l'interoperabilità dei sistemi di trasporto:
ferrovia | 61% |
strada | 13% |
aeroporti | 4% |
porti | 2% |
sistema di gestione | 19% |
La consapevolezza del ritardo accumulato nel percorso verso l'obiettivo
di dotare il mercato unico europeo di una rete di infrastrutture
finalizzata allo sviluppo delle relazioni economico-commerciali
e alla coesione territoriale, ha portato la Comunità a
elaborare nuove strategie di pianificazione tese a realizzare
un sistema di trasporto multimodale integrato nelle infrastrutture
e ottimizzato nei metodi di gestione, con l'adozione di procedure
che consentano il miglioramento della qualità e della funzionalità
delle reti transeuropee e il pieno sfruttamento delle capacità
esistenti, anche attraverso l'impiego di nuove applicazioni tecnologiche
(informatiche in particolare) e l'adozione di procedure standard
che favoriscano lo snellimento della burocrazia (es. dogane) e
consentano di fornire ai sistemi industriali un servizio affidabile
e di qualità.
Inoltre è necessario andare oltre alle dichiarazioni di
volontà politica, per lanciare progetti come lo SSS (Short
Sea Shipping), infatti per mettere in piedi progetti realistici
occorre coinvolgere operatori ed industrie e usare le richieste
dei clienti (user input) come specifiche per i progetti, sostenendo
lo SSS come parte del trasporto combinato. Quindi bisogna convogliare
fondi TEN su applicazioni tecnologiche che consentano di migliorare
i sistemi di trasporto senza ricorrere a nuovi (lunghi e costosi)
interventi infrastrutturali.
La situazione italiana
Senza una forte regia unitaria europea, i sistemi di trasporto
nazionali si sono evoluti secondo strategie e modalità
diverse, con risultati più o meno soddisfacenti. In particolare,
il sistema italiano continua a rappresentare un elemento di debolezza
nella struttura complessiva del Paese, legate alle carenze infrastrutturali
aggravate da una serie di inefficienze stigmatizzate di recente
anche dall'OCSE (Rapporto sullo stato dell'economia in Italia
- Parigi, 15 ottobre 1998): la mancanza di adeguate forme di concorrenza
per quanto concerne mercato del lavoro e servizi di trasporto,
la politica dei prezzi poco flessibile, le difficoltà di
accesso del capitale privato al finanziamento delle infrastrutture,
la scarsa razionalità nella sequenza degli investimenti
nelle reti di trasporto, l'insoddisfacente coordinamento delle
politiche dei trasporti in funzione del riequilibrio del sistema
e della tutela dell'ambiente.
D'altra parte, la capacità di pianificazione, organizzazione
e progettualità non costituiscono certamente i punti di
forza del nostro Paese. Naturalmente sarebbe un'ingiustizia non
riconoscere i meriti ad individualità di spicco nei vari
settori della progettazione, settori in cui l'italico ingegno
ancora si riflette e si fa apprezzare, raccogliendo anche consensi
a livello internazionale; ma la progettualità è
un'altra cosa, è cultura della progettazione ad ampio respiro,
è visione sistemica non confinata al singolo componente.
La mancanza delle capacità di cui si diceva è evidente
soprattutto nel campo delle opere pubbliche. E' sintomo di mancanza
di progettualità anche la discontinuità di finanziamenti
che, essendo soggetta al mutare dei governi, la cui durata da
noi è piuttosto aleatoria, finisce con l'invalidare le
previsioni, pregiudicando l'efficacia delle opere stesse, laddove
questa dipende dall'ultimazione di altri interventi e con l'allontanare,
in definitiva, l'interesse degli eventuali investitori privati.
Non è casuale che i tentativi di impostare una strategia
di pianificazione e progettualità in un settore in cui
le capacità di formulare tali strategie è fondamentale,
quello dei trasporti, siano naufragati: l'attuazione del vecchio
Piano Generale dei Trasporti è rimasta nel cassetto dei
sogni ed il Cipet, l'organismo di programmazione del settore,
è stato sciolto.
D'altro canto, desta preoccupazione anche l'approccio alle questioni
portuali contenuto nel PGT in corso di elaborazione , che travisa
le richieste di autonomia finanziaria da parte delle Autorità
Portuali: infatti il decentramento fiscale, auspicato dalle Authority,
viene interpretato nel PGT come un'intenzione da parte delle Autorità
Portuali di ridurre il proprio ruolo a quello di agenzia di riscossione
delle imposte.
Questa impostazione denuncia una distorta visione del problema,
se si considera che l'istanza nasce proprio dal confronto con
il Nord Europa, dove i porti sono governati e finanziati direttamente
dalle municipalità.
Questo non vuol dire che lo sviluppo dei porti debba essere legato
unicamente ai finanziamenti pubblici, ma è chiaro che il
recupero del gap logistico e infrastrutturale che separa ancora
oggi i porti italiani dai competitor del Nord, legato al lungo
periodo di crisi che ha condizionato la portualità italiana,
non può avvenire solo grazie ai proventi dei canoni di
concessione, se si pensa che il piano di investimenti di Assoporti
per i progetti di strutturazione immediata ammonta a oltre 3.500
miliardi di spesa.
Oltretutto è impensabile aumentare oltre l'incidenza dei
canoni sul traffico portuale quando si osservi che a causa dell'inefficienza
del sistema di inoltre terrestre la linea di equidistanza economica
fra i porti italiani e quelli del nord passa per Basilea.
Inoltre l'osservazione contenuta nel PGT circa la scarsa propensione
dei porti italiani a porsi come sistemi-impresa di trasporto e
logistica, sembra poco corretta se si considera che, nella consapevolezza
dell'esigenza imprescindibile di integrare i porti con i sistemi
di trasporto terrestre, le Autorità Portuali hanno chiesto
di poter partecipare direttamente a società di gestione
della logistica e dell'intermodalità, possibilità
successivamente attraverso la legge 30/98.
Ancora una volta, però, occorre sottolineare che per lo
sviluppo infrastrutturale e logistico dei porti è necessario
mettere in campo un grande sforzo di pianificazione e progettualità,
che parte senza dubbio dalla redazione dei Piani Regolatori Portuali
in corso di redazione da parte delle Authority.
Nel caso di Savona, le attività per l'elaborazione del
Piano Regolatore Portuale avviate formalmente nell'agosto 1997,
con la costituzione dell'Ufficio del Piano, sono oggi al momento
di sintesi e il documento sarà presentato al Comitato entro
pochi mesi.
Il Piano Regolatore Portuale di Savona ha, naturalmente, il suo
punto centrale nella ricerca di soluzioni per lo sviluppo della
parte commerciale del porto, attraverso la razionalizzazione delle
risorse spaziali esistenti (con la rilocalizzazione di alcune
attività tra i due bacini in amministrazione, quello storico
di Savona e quello più recente di Vado Ligure), la definizione
di ipotesi progettuali per l'espansione delle opere marittime
per l'insediamento di nuove attività, in particolare contenitori
e cabotaggio.
In considerazione dell'enorme valore aggiunto generato dalle attività
logistiche (in questo si concorda con il PGT), che creano ricchezza
e occupazione in rapporto di circa 7 a 1 rispetto alle attività
portuali dirette, il Piano Regolatore di Savona rivolge attenzione
particolare all'individuazione di spazi per le attività
di manipolazione e distribuzione della merce, studiando anche
ipotesi di aree in regime extradoganale).
Tuttavia gli obiettivi del Piano non si esauriscono nella parte
commerciale, infatti altro elemento portante è la gestione
del waterfront, questione fondamentale per la gestione delle relazioni
porto-città, e delle attività correlate (diporto,
cantieristica ecc.) che garantiscono un ritorno occupazionale
e una creazione di valore per unità di superficie molto
maggiore rispetto alle attività portuali in senso stretto,
oltre a costituire una fonte di reddito non trascurabile per l'Autorità
Portuale, infatti se dai terminalisti giunge all'Authority circa
il 65% degli introiti per canoni concessori, il restante 35% proviene
proprio da queste attività non strettamente "portuali".
Infine, con il Piano Regolatore Portuale si intende ricercare
la soluzione di problemi trasversali alle attività portuali,
come l'organizzazione del lavoro, determinando il corretto dimensionamento
delle risorse occupazionali necessarie per lo svolgimento delle
attività esistenti e di prospettiva, e giungendo alla definizione
di schemi e criteri per regolamentare il rilascio di nuove licenze
d'impresa in relazione all'utilizzo del lavoro portuale.
Lo sviluppo della containerizzazione determina l'esigenza di disporre
di spazi portuali sempre più vasti, in genere non disponibili
nei terminal tradizionali, troppo vicini alle città, e
che non possono essere reperiti facilmente a causa dei numerosi
vincoli paesistici tipici delle aree costiere.
Ecco dunque la convenienza di coordinare le azioni delle singole
Autorità nell'ottica dello sviluppo di sistemi portuali,
in quanto il coordinamento fra porti di uno stesso bacino geografico
favorisce la concentrazione dei finanziamenti verso un numero
ridotto di interventi prioritari e lo sfruttamento ottimale delle
risorse infrastrutturali. Ne discende l'esigenza, per ogni sistema
portuale, di reperire aree destinate all'espansione e di realizzare
adeguati collegamenti con l'entroterra, cosa che richiede il superamento
di interessi locali a favore di una visione d'insieme. In questo
contesto, la capacità di pianificazione territoriale sarà
fondamentale, perché le scelte coinvolte sono destinate
ad incidere a lungo sull'organizzazione del territorio e sullo
sviluppo delle imprese.
La capacità di pianificare, insomma sarà necessaria
per compiere un ulteriore salto di qualità: i Master Plan
dei porti sul Mare del Nord, rappresentano un modello di pianificazione
a cui Piani Regolatori Portuali degli scali italiani potranno
ispirarsi per dare un contributo allo sviluppo dell'intero sistema
logistico italiano.