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FORUM
über Shipping
und Logistik
RELAZIONE DEL PRESIDENTE ELETTO
PAOLO d'AMICO
ASSEMBLEA
Roma, 18 marzo 2010
Signor Ministro, Onorevoli parlamentari, Autorità,
Colleghi armatori, Signore e Signori,
è con grande emozione che prendo la parola per il mio
primo discorso da Presidente di Confitarma in questa sala: una sala
così ricca di arte e di storia del nostro Paese, e da tre
lustri anche della storia della nostra industria armatoriale, che
qui ha tenuto le sue Assemblee assieme ai vertici di Confindustria,
ai rappresentanti dei Governi e ai parlamentari che si sono
succeduti.
Proprio qui, nel 2001, si sono svolte le celebrazioni del nostro
Centenario, cui volle essere presente anche il Presidente della
Repubblica Ciampi.
Siamo una parte importante della storia e dell'economia del
Paese.
E sono fiero ed orgoglioso di essere stato eletto dall'Assemblea
di ieri alla guida di Confitarma per i prossimi tre anni.
Ringrazio quindi anzitutto gli amici e i colleghi che hanno
riposto in me la loro fiducia.
Rivolgo un ringraziamento particolare a Nicola Coccia,
Ed ora tocca a me.
Come molti di voi sapranno, la mia famiglia opera da decenni nel
mondo del mare.
Ricordo che mio padre Ciro assunse la carica di presidente della
Confederazione nazionale degli armatori nel 1972, succedendo alla
guida ultraventennale di Angelo Costa, l'indimenticato presidente
sia di Confitarma che di Confindustria.
Fu proprio mio padre, convinto che dovesse essere finalmente
superata la divisione della categoria, ad avviare con Ernesto Fassio
ed Ercole Lauro, presidenti delle Associazioni degli armatori di
Genova e Napoli, le trattative per la riunificazione che poi si
realizzò nel 1976.
Un ricordo e un affetto altrettanto forte vanno a mio zio
Antonio, che guidò la Confitarma per sei anni dal 1989: primo
presidente armatore dopo oltre un decennio, seppe creare un nuovo
spirito di coesione e di partecipazione fra le imprese di
navigazione, rinvigorendo la vita associativa e rafforzando
l'organizzazione confederale.
Grazie alla sua iniziativa il sistema marittimo italiano (quello
che oggi si chiama cluster marittimo) si è unito nella
Federazione del Mare e fu lui a volere la costituzione del gruppo
Giovani armatori, convinto del valore e del contributo fondamentale
delle nuove generazioni.
Colgo l'occasione per salutare Valeria Novella, nuova presidente
dei Giovani armatori, che - insieme ai vicepresidenti confederali e
ai presidenti di commissione che a giorni nomineremo, e ai
consiglieri eletti ieri - farà parte della squadra di vertice
della Confederazione.
La mia presidenza si inserisce quindi in una scia ben definita,
di continuità della politica associativa volta a valorizzare
concorrenza, rinnovamento e compattezza, prerequisiti indispensabili
che già fanno parte della nostra cultura imprenditoriale e ci
permettono di affrontare quotidianamente le sfide del mercato
globale.
Le sfide da affrontare
Poco più di un anno e mezzo fa tutti noi raccoglievamo i
frutti di uno dei momenti più felici del mercato marittimo.
Poi l'industria marittima mondiale, principale fornitore di
servizi di trasporto al commercio internazionale, è stata
colpita direttamente dalla crisi economico-finanziaria.
Lo shipping è un'attività ciclica.
Non è quindi per un ingenuo ottimismo che credo nella
prossima ripresa. E credo anche che dobbiamo essere pronti per il
momento in cui il vento sarà di nuovo favorevole.
Ci sono segnali all'orizzonte: il Fondo Monetario Internazionale
prevede per il 2010 una crescita economica mondiale del 3,9%, con un
miglioramento di 0,8 punti percentuali rispetto alle stime
dell'ottobre scorso; mentre per il 2011 si attende un'ulteriore
crescita del 4,2%.
Certo, la situazione resta ancora fragile e la ripresa procederà
a diverse velocità: nelle economie avanzate sarà
probabilmente debole, al 2%, e ancora legata al sostegno dei
governi; per quelle emergenti si attende una crescita del 6%, con la
Cina che farà ancora la parte del leone e avrà indici
a doppia cifra.
Secondo le previsioni più accreditate, già nel
2010 l'economia statunitense dovrebbe ricominciare a trainare la
ripresa dell'economia mondiale con un tasso di crescita positivo,
per collocarsi vicino al 2% dal 2011.
Sul futuro dell'Europa le previsioni sono più incerte:
nel 2010 ci sarà un miglioramento, ma solo dello 0,9%, e nel
2011 dell'1-1,5%.
Mercati marittimi
Anche per i mercati marittimi, che nel 2009 hanno subito un duro
colpo con il crollo degli indici dei noli, le stime ufficiali
prevedono per il 2010 una ripresa dei traffici mondiali ed un loro
aumento del 2%.
Già negli ultimi mesi del 2009 abbiamo assistito ad una
sostenuta crescita dei noli per navi bulk e gasiere, e ad una
crescita più lieve ma progressiva per le navi petroliere.
Quest'ultimo settore ha risentito meno della crisi, con bassi
livelli di disarmo, anche grazie all'utilizzo delle unità
navali per lo stoccaggio del greggio.
Il settore delle navi portacontainer, invece, evidenzia
ancora delle difficoltà, legate principalmente alla lenta
ripresa dei consumi nei mercati avanzati.
Non è un caso che, ad una ripresa economica guidata dalle
economie emergenti, corrisponda un migliore stato di salute dei
traffici delle materie prime.
Sull'evoluzione dei traffici containerizzati peserà, nel
prossimo futuro, la natura della crescita cinese: nei prossimi anni
capiremo se essa verrà trainata dalla domanda interna o se
invece, come in passato, solo ed esclusivamente dalle esportazioni.
Un simile cambiamento comporterebbe una rivoluzione nei flussi
delle merci a più alto valore aggiunto trasportate nei
container, andando a riequilibrare nei traffici est-ovest
l'attuale sbilanciamento.
Senza contare la crescita dei mercati emergenti del continente
africano. Uno scenario plausibile prevede per le principali correnti
di traffico mondiale la circumnavigazione dell'Africa, proseguendo
poi verso il Nord Europa o la costa orientale degli Stati Uniti
senza entrare nel Mediterraneo, che potrebbe invece essere servito
attraverso i porti hub di Algeciras o Tangeri.
Pirateria
Una tale ipotesi va valutata anche alla luce del problema
pirateria al largo delle coste somale e nel golfo di Aden, la porta
orientale del Mediterraneo.
Confitarma da sempre è attiva su questo fronte. Le nostre
richieste di unità militari di scorta hanno portato nel 2005
e nel 2008 all'invio di due missioni militari; ricordo ancora le
recenti pressioni per la partecipazione attiva dell'Italia alla
missione europea “Atalanta”, nonché per il suo
allargamento al “quadrante meridionale”.
Gli interessi nazionali coinvolti sono molto rilevanti: dei
22.000 transiti annuali attraverso il Canale di Suez, circa 2.000
sono connessi ad interessi italiani e ben 600 di questi, in media
quasi due ogni giorno dell'anno, si riferiscono a navi di bandiera
italiana.
Visto che oggi il 60% del commercio estero italiano viaggia per
mare, appare evidente quanto sia importante che non solo
l'industria, ma anche e soprattutto la politica si preparino per
tempo a questi scenari, con scelte lungimiranti di strategia
industriale e di logistica integrata.
Cosa ci aspetta
Sono molti i problemi sul tappeto e molte le possibili
soluzioni.
Sono fermamente convinto che per far funzionare le cose è
necessario adottare scelte il più possibile condivise. Solo
così potremo porre in essere azioni concrete.
Di certo, la lista è lunga, ma credo che per sintetizzare
il lavoro che dovremo portare avanti nei prossimi anni possano
bastare tre parole: Bandiera, Investimenti e Occupazione. Non a caso
la copertina della nostra relazione annuale si ispira proprio a
questi concetti.
Bandiera
La Bandiera è quella italiana, che sventola sulle nostre
1.570 navi soprattutto grazie alla politica marittima di riduzione
dei costi fiscali e parafiscali avviata nel 1998, seguendo
l'impostazione europea.
Oggi la flotta italiana è all'avanguardia nel mondo e
gioca un ruolo importante per l'economia nazionale: siamo al 12°
posto nella graduatoria mondiale delle flotte di bandiera, con quasi
16milioni di tsl (tonnellate di stazza lorda): un aumento dell'8,7%
rispetto al 2008.
Purtroppo, la legge finanziaria 2010 ha dimenticato di dedicare
le risorse usuali al mare, sottovalutando uno strumento di
competitività e di sviluppo quale è da circa dodici
anni il Registro internazionale.
Inoltre, dopo dieci anni, per la prima volta non sono state
rinnovate le misure per la riduzione degli oneri contributivi al
cabotaggio, che nella liberalizzazione del mercato europeo rischia
di perdere il confronto con le bandiere comunitarie più
aggressive.
Da anni chiediamo una norma strutturale, che consenta di
pianificare con tranquillità attività industriali e
investimenti.
Privatizzazione del gruppo Tirrenia
La Bandiera italiana sventola su tutte le nostre navi, siano
esse di imprese private o pubbliche: è la stessa Bandiera!
Con forza quindi mi auguro che venga finalmente posta la parola
“fine” alla contrapposizione tra flotta privata e
pubblica e la privatizzazione del Gruppo Tirrenia possa concludersi
al più presto, in linea con le indicazioni comunitarie,
ripristinando pienamente nel mercato le regole di concorrenza.
Più volte nel recente passato abbiamo manifestato
perplessità in merito alle procedure di liberalizzazione e
privatizzazione, lamentando un difetto di trasparenza dell'intero
processo.
Non siamo mai stati invitati ai tavoli ministeriali di
approfondimento e confronto in materia.
La scelta di procedere all'affidamento in blocco dei servizi
marittimi a una stessa società di navigazione, invece che ad
una pluralità di operatori attraverso gare linea per linea,
certamente non aiuta, come pure non aiuta la prevista durata di 12 -
8 anni delle convenzioni ad esclusivo appannaggio delle società
ex-regionali e della società Tirrenia.
Inoltre, ci pare non accettabile la commistione dei ruoli tra
regolatore e gestore che si verrebbe a creare qualora fossero le
Regioni, tramite partecipazioni in società, ad acquisire le
ex-regionali del gruppo Tirrenia: sovrapposizione più volte
oggetto di rilievo da parte della nostra Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato.
Infine, il fatto che la materia sia stata oggetto di
osservazioni da parte delle istituzioni comunitarie nel dicembre
scorso, e ultimamente addirittura di una procedura di infrazione,
conferma le perplessità che sussistono sull'intera procedura.
Investimenti
L'impegno dell'armamento italiano è testimoniato dallo
sforzo profuso per il rinnovo della flotta.
Nel 2009, con quasi 1miliardo di euro, l'Italia è
risultata il primo paese europeo per Investimenti in nuove navi.
E vorrei sottolineare che tutto ciò è avvenuto in
coincidenza con il momento più difficile per l'economia
mondiale!
Abbiamo continuato ad investire, nonostante la crisi, convinti
che in un mercato sempre più concorrenziale gli alti standard
qualitativi siano la carta vincente per affrontare la competizione
globale.
Negli ultimi anni abbiamo investito oltre 27miliardi di euro in
nuove navi ed oggi possiamo vantare una delle flotte più
giovani del mondo, con il 64% del naviglio di età inferiore
ai 10 anni ed il 35% ai 5 anni.
Accanto ad una flotta di navi da carico e per servizi ausiliari
fortemente rinnovata, vantiamo navi da crociera nuove e bellissime,
grazie alle quali nel 2009 nonostante la crisi abbiamo mantenuto la
posizione dell'Italia quale prima destinazione europea di
croceristi.
Il turismo che viene dal mare, rappresentato da navi da crociera
e da traghetti, svolge un ruolo di traino per lo sviluppo del
turismo di terra, così importante per il Paese.
Abbiamo lavorato per rendere le nostre navi più sicure
per gli equipaggi e i passeggeri imbarcati, ed ancor più
rispettose dell'ambiente.
La salvaguardia dell'ambiente
L'ambiente e la sua salvaguardia sono all'ordine del giorno di
tutti i programmi di sviluppo industriale.
Lo shipping è parte della soluzione del problema:
il trasporto marittimo è infatti la modalità meno
inquinante, producendo la minore quantità di CO2 per unità
di merce rispetto a tutte le altre modalità di trasporto
impiegate sulle brevi e sulle lunghe distanze nel mondo.
Ciò naturalmente non vuol dire che non dobbiamo
contribuire ancora di più a ridurre le emissioni globali.
Del resto, lo shipping è regolato da un gran
numero di norme - internazionali, comunitarie e nazionali - dedicate
soprattutto alla sicurezza e alla salvaguardia dell'ambiente.
L'armamento italiano risponde a tali disposizioni, talvolta non
senza difficoltà tecniche, gestionali ed economiche.
Tuttavia, spesso non siamo messi in condizione di adempiere
appieno a quanto ci viene richiesto, subendo danni non indifferenti.
Emblematico a tale riguardo è il caso della più
recente normativa sui carburanti navali dell'organizzazione
marittima mondiale (IMO), che impone una serie di limitazioni al
tenore di zolfo presente nel combustibile delle navi. L'Unione
europea, nel recepire tale normativa, ha deciso di inasprirne le
prescrizioni, senza rendersi conto che così si determina una
distorsione della concorrenza.
È vero infatti che qualunque nave voglia attraccare in un
porto europeo deve sottostare a queste limitazioni, sia essa di
bandiera europea o extracomunitaria. Ma è anche vero che i
costi che ne derivano incidono maggiormente su chi opera
prevalentemente in Europa rispetto alle altre aree.
Se vogliamo un'Europa che cresca al passo con le altre economie,
dobbiamo evitare che tali situazioni si ripetano e, per quanto
possibile, migliorare quelle esistenti.
Rivolgo pertanto al Governo un appello, affinché sia
sostenuto a Bruxelles, in sede di revisione della normativa sul
bunker in ambito europeo, il necessario riallineamento alla
normativa internazionale, per esempio attraverso l'introduzione di
misure transitorie per i casi in cui un'oggettiva difficoltà
renda impossibile rispettare gli obblighi comunitari ed
internazionali.
Leadership nel Mediterraneo
In questi mesi si fa un gran parlare di Mediterraneo: il
rilancio dell'Italia quale asse strategico dei traffici nel bacino
del Mediterraneo è tra i primi punti dell'agenda di Governo.
Non possiamo che condividere questo obiettivo, anche se devo
dire che oggi la storica leadership italiana nel Mediterraneo
è messa fortemente in discussione, soprattutto per quanto
riguarda il settore marittimo-portuale.
I nostri diretti concorrenti sono la Francia e la Spagna, che
rispettivamente hanno lanciato l'Unione per il Mediterraneo e
potenziato i tre principali porti, grazie a massicci investimenti
infrastrutturali.
Stiamo parlando di un mercato potenziale di 525 milioni di
persone, previsto per il 2020. Un bacino nel quale circola il 30%
dell'intero traffico marittimo mondiale: circa 1,4 miliardi di
tonnellate di merci, delle quali oltre un terzo viene scaricata o
caricata in Italia.
Non solo. A confermare l'importanza del bacino mediterraneo vi
sono i dati dell'interscambio dell'Italia con i Paesi della sponda
nord-africana: 25 miliardi di euro in export e 39 miliardi in
import.
Appare chiaro che la perdita della nostra leadership nel “Mare
Nostrum” non potrà che ripercuotersi su tali
valori.
È pertanto necessario riaffermare il nostro ruolo
nell'area, attraverso una concreta azione di valorizzazione dei
fattori di sviluppo.
Gli incontri che si susseguono per tutta la penisola, a Roma, a
Milano (che ricordo è il maggior centro economico-finanziario
del bacino mediterraneo), mirano a questo.
Porti e riforma portuale
Purtroppo, anche a questo proposito devo sottolineare la nota
dolente rappresentata dai porti italiani, spesso penalizzati da una
normativa inadeguata e da povertà di finanziamenti.
Da un lato le infrastrutture portuali non risultano in linea con
l'evoluzione della flotta: non solo unità italiane, ma navi
di tutto il mondo spesso non vengono nei nostri porti perché
non trovano scali adeguati a riceverle o, semplicemente, perché
i fondali non sono abbastanza profondi.
Tutti avvertono l'esigenza di colmare il gap
infrastrutturale del sistema portuale italiano per consentirgli di
cogliere le opportunità che verranno offerte dalla futura
ripresa economica, ma - mentre tutti sono d'accordo sulla diagnosi -
sussistono molte perplessità circa la terapia da seguire.
Per di più, la crisi economica internazionale e
l'esigenza di contenere il debito pubblico entro i parametri di
Maastrich stanno fortemente condizionando le scelte in tema di
sviluppo infrastrutturale della portualità.
Dall'altro lato, è da diversi anni che si sta lavorando
per un aggiornamento della legge sui porti, aggiornamento ampiamente
condiviso dal quale si attendono soluzioni a svariati problemi
emersi nel corso dei sedici anni di vigenza.
I principi ispiratori seguiti nella revisione della legge sono
principalmente quelli di una maggiore efficienza della nostra
portualità, sia in termini di capacità progettuale che
di snellezza delle procedure amministrative.
Nodo fondamentale resta però quello della realizzazione
dell'autonomia finanziaria delle Autorità portuali, questione
considerata strategica per lo sviluppo delle infrastrutture e per la
futura ripresa dei traffici.
L'industria armatoriale sul punto ha condiviso il Protocollo
sottoscritto la scorsa primavera dalle principali organizzazioni del
cluster marittimo-portuale, nella convinzione che il Governo
non possa ignorare il ruolo svolto dai porti e dalla flotta
sull'economia nazionale.
Recentemente, anche il mondo finanziario ha lanciato una
interessante proposta di sviluppo delle infrastrutture portuali
attraverso il ricorso alla finanza partecipata, con la costituzione
di società miste pubblico-privato: senza entrare nel merito
di questa proposta, non si può non avvertire come appaia però
scarsamente compatibile con l'attuale assetto normativo della
portualità nazionale, che individua nelle Autorità
portuali il centro nevralgico del sistema.
In conclusione, di fronte ad un panorama così confuso
diventa difficile per l'armamento suggerire la soluzione migliore,
che possa in tempi rapidi rispondere all'esigenza di sviluppo
infrastrutturale della portualità nazionale. Ciò che
non deve comunque avvenire è che dall'attuale confusione
derivi una posizione di stallo sul piano delle scelte governative:
non resta quindi che auspicare che quanto proposto nel protocollo
del cluster marittimo-portuale possa in tempi brevi trovare
accoglimento da parte del Parlamento e del Governo.
Autostrade del mare - ecobonus
Importante fattore di sviluppo sono sicuramente le Autostrade
del Mare, che da noi hanno visto una crescita costante negli ultimi
anni: con più di 400 partenze settimanali ed oltre 90 navi,
disponiamo di una fitta rete di collegamenti tra i porti italiani e
tra di essi e quelli esteri.
È una rete infrastrutturale che, a differenza di quella
terrestre, ha il vantaggio di essere immateriale e di non richiedere
investimenti faraonici e tempi biblici per la sua realizzazione: è
sufficiente avere navi e porti efficienti.
Per quanto riguarda le navi, l'Italia può vantare la
seconda flotta mondiale di traghetti RO/RO. In particolare, nel
settore passeggeri registriamo il primato mondiale, trasportando
ogni anno circa 55 milioni di passeggeri, tra persone che si
spostano per lavoro e turisti.
Oggi le Autostrade del Mare sono una risorsa strategica per il
Paese. Lo sono perché rappresentano un sistema che, quando
correttamente integrato, consente di ridurre, oltre ai costi diretti
del trasporto, anche quelli derivanti dal suo impatto sociale ed
ambientale: tutti quelli che sono definiti costi esterni.
L'Italia, prima in Europa, ha adottato il cosiddetto ecobonus,
al fine di incentivare il trasferimento via mare delle merci: uno
strumento che ha trovato applicazione nel triennio appena concluso e
che il Governo si è impegnato, da ultimo con il protocollo
firmato con le associazioni dell'autotrasporto il 1° dicembre
scorso, a prorogare nel cosiddetto decreto-legge “Milleproroghe”.
In realtà, non solo la norma inserita nel decreto e nella
successiva legge di conversione non fa cenno alla proroga promessa,
ma addirittura prevede la possibilità di utilizzare i fondi
stanziati in passato ai fini del finanziamento dell'“ecobonus”
per lo sviluppo del “ferrobonus”.
Tale provvedimento, Signor Ministro, crea a nostro parere un
pericoloso precedente: sembra quasi che i sistemi di trasporto
alternativi a quello stradale, cioè il
Né va dimenticato che i fondi stanziati ogni anno servono
in realtà a coprire un fabbisogno che si è creato con
l'utilizzazione del trasporto marittimo durante l'anno precedente:
la mancanza di fondi a partire dal 2011 rende quindi in realtà
l'ecobonus inesistente già per i trasporti effettuati
quest'anno.
Ci auguriamo che il Governo riconsideri la situazione,
eliminando ogni ambiguità.
Occupazione
Infine, l'Occupazione: le navi italiane hanno bisogno di
ufficiali ed equipaggi qualificati. Nel corso degli ultimi anni,
Confitarma ha contribuito più che mai a tante iniziative per
la formazione di ufficiali e altre figure professionali a bordo e a
terra. Dobbiamo proseguire su questa strada, per far capire sempre
più ai giovani che la carriera marittima può dare
grandi opportunità.
I rapporti con le organizzazioni sindacali dei marittimi sono da
anni aperti e collaborativi, pur nell'ovvia diversità dei
ruoli: sono certo che così si manterranno anche in occasione
del prossimo rinnovo contrattuale, che per la prima volta darà
applicazione nel nostro settore al nuovo assetto triennale.
Colgo l'occasione per ribadire l'attenzione dell'armamento
privato al problema dell'occupazione dei marittimi che
inevitabilmente scaturirà dalla privatizzazione della flotta
Tirrenia.
L'armamento privato è pronto a farsi carico dell'intero
personale.