realizzazione degli interporti già
definiti e ammessi alle provvidenze;
individuazione delle aree carenti in
relazione alle reali capacità di movimentazione delle merci;
individuazione delle località in cui i
problemi possono essere risolti attraverso la realizzazione di infrastrutture intermodali
minori quali piattaforme logistiche, retroporti, centri intermodali, con lo scopo di
favorire l'integrazione tra le diverse modalità, ridurre gli squilibri nella ripartizione
modale del trasporto merci, favorire l'integrazione con le strutture esistenti, migliorare
la qualità dei servizi, decongestionare il traffico nelle grandi aree urbane;
regolamentazione sia delle risorse
finanziarie che delle procedure di individuazione delle iniziative;
destinare parte degli investimenti alla
formazione professionale degli operatori nel campo della logistica.
Lo sviluppo del trasporto va considerato
infatti nell'ottica della logistica integrata che presuppone il riferimento agli assi di
collegamento nazionali e internazionali. Ciò consentirà la definizione di una rete
integrata intesa come insieme di tutte le infrastrutture di trasporto in grado di
razionalizzare il sistema merci, attraverso il riequilibrio modale, e di correggere
inefficienze e squilibri.
Deve quindi provvedersi all'individuazione
- di concerto con gli Enti territoriali - delle reali necessità delle diverse aree al
fine di definire una rete equilibrata comprensiva di infrastrutture logistiche intermedie
in grado di completare e potenziare la rete nazionale.
Si può inoltre ipotizzare la definizione
di una legge che - ferme restando le risorse già stanziate consenta il superamento
della normativa esistente che permette il finanziamento solo di infrastrutture
interportuali propriamente dette.
Per il completamento degli interventi già
previsti il Ministero dei trasporti e della navigazione dovrebbe ammettere a contributo la
realizzazione di strutture intermodali per il completamento e il riequilibrio della rete
interportuale nazionale, definendo modalità e requisiti per l'ammissione ai contributi
sulla base dei seguenti principi:
equilibrio modale e territoriale per
ridurre la perifericità del Mezzogiorno e aumentare la competitività delle aree deboli
attraverso un sistema integrato di trasporto;
individuazione delle aree carenti di
dotazione infrastrutturale intermodale in riferimento alle reali funzionalità
dell'offerta e della domanda;
individuazione delle località tenendo
conto dell'esigenza di sviluppare il traffico intermodale lungo i corridoi plurimodali,
con particolare riferimento ai problemi della congestione del traffico, per creare anelli
logistici di piattaforme intermodali collegate tra loro e con le principali vie di
adduzione alle aree urbane e metropolitane;
accertamento del livello di servizi minimi
sufficienti a soddisfare la domanda nell'area interessata all'infrastruttura tenendo conto
prioritariamente delle esigenze di integrazione tra reti di trasporto e tra le
infrastrutture intermodali esistenti, di fruibilità dei servizi e di riduzione
dell'inquinamento;
previsione a fini dell'ammissione al
contributo del maggior apporto possibile di altre risorse rese disponibili da soggetti
pubblici e privati e comunque di una spesa complessiva per la quale il contributo dello
Stato non superi il 50% dell'importo;
destinazione di una quota non inferiore
all'1% dei finanziamenti alla formazione professionale.
Ai fini della localizzazione si può
procedere attraverso Accordi di programma, nel caso che l'amministrazione comunale
competente non abbia provveduto attraverso il Piano regolatore generale o ad apportare
variante allo stesso.
Porti marittimi
Al forte sviluppo del traffico marittimo
non ha corrisposto un rafforzamento delle imprese italiane; nella tipologia dei trasporto
container, anzi, le imprese che gestiscono i terminal maggiori hanno subito acquisizioni
da parte di operatori esteri a Gioia Tauro, La Spezia, Genova Voltri, Venezia, Trieste e
Taranto. Analogo fenomeno si è verificato nello shipping.
Nel traffico container i quattro maggiori
porti adriatici non raggiungono ancora tutti insieme il traffico dei terminal di Genova e
Genova Voltri e rappresentano una quota di mercato del 20%.
La crisi del Far East ha fortemente
penalizzato alcuni porti. La debolezza delle imprese e la loro scarsa propensione agli
investimenti ha rallentato il processo di liberalizzazione in particolare nei settori
rinfuse e merci varie.
Si nota un rafforzamento e un consolidarsi
dei porti "universali", favoriti dalla presenza di terziario marittimo. Si va
inoltre profilando una mappa della specializzazione che qualifica alcuni porti per
merceologie o per relazioni di traffico.
Una delle maggiori criticità che presenta
oggi il sistema portuale italiano è costituita dal modo in cui numerose Autorità
Portuali interpretano il processo di privatizzazione, travisando lo spirito della legge di
riforma 84/94. La legge infatti non solo prevedeva la rinuncia da parte
dellorganismo pubblico ad esercitare direttamente attività commerciali ma prevedeva
che i porti raggiungessero gradatamente un maggiore livello di autonomia finanziaria
accrescendo la quota di introiti proveniente, sotto forma di canoni di concessione,
dallattività economica delle società terminaliste private. Lo strumento del
canone, la cui entità doveva essere funzione dei positivi risultati economici delle
società terminaliste e quindi crescere con la crescita degli introiti delle medesime,
doveva essere lo strumento principe dellautonomia finanziaria dei porti.
Accade invece che molti porti interpretino
tale strumento come un incentivo alle imprese e chiedano di poterlo abbassare, sino a
ridurlo a zero, per non incidere eccessivamente sui conti economici delle medesime. In tal
modo si crea un circolo vizioso per cui i porti, privatisi dello strumento principe della
loro autonomia finanziaria, sono costretti a ricorrere in misura maggiore rispetto al
passato allaiuto dello Stato.
Se cos' fosse, si otterrebbe esattamente
lopposto di quanto ci si attendeva dalla legge di riforma. Non è un caso che oggi i
porti chiedano di ottenere maggiore autonomia finanziaria non mediante lo strumento del
canone ma mediante lo strumento del decentramento fiscale. Se si ottemperasse a tale
richiesta e contemporaneamente si accettasse che i canoni siano interpretati e usati come
sostegno alle imprese terminaliste, non solo lo Stato si vedrebbe privato di risorse
finanziarie ma si esporrebbe al rischio di dover aumentare il proprio intervento quanto
più aumentano i traffici, mentre dovrebbe avvenire il contrario.
Lo strumento del canone infatti, a
differenza delle tasse portuali, stimola i porti a dotarsi di traffici che producono
valore aggiunto in quanto è dalla movimentazione e manipolazione dei carichi che si
ricavano i profitti ed è dalla ripartizione dei medesimi che si alimenta leconomia
sia dellimpresa che dellAutorità Portuale. Le tasse portuali invece sono un
semplice pedaggio sul movimento delle navi: che i carichi siano ricchi o poveri, tali da
produrre valore aggiunto o meno, è indifferente.
Tasse portuali e canoni rispondono a due
concezioni del porto per certi versi opposte: da un lato il porto come mera agenzia
fiscale dello Stato addetta alla riscossione dei pedaggi marittimi, dallaltro lato
il porto come impresa economica autosufficiente, che trae alimento dallefficienza
delle imprese terminaliste in esso localizzate. A differenza del Nord Europa, in Italia il
porto è ancora concepito come agenzia che riscuote i pedaggi dalle navi in transito e non
un sistema-impresa di trasporto e logistica.
Il canone di concessione è al tempo stesso
stimolo e indicatore di una sana economia portuale, in quanto premia le Autorità Portuali
che hanno saputo concedere luso delle banchine a società efficienti e competitive
sul mercato. Se, come si segnala da numerose Autorità Portuali, le società terminaliste
si trovano oggi in difficoltà e, malgrado laumento dei traffici, chiedono la
riduzione o lazzeramento dei canoni, assecondando tali richieste si rischia non solo
di tornare alla logica dellassistenzialismo, mantenendo un sistema di imprese e di
Autorità Portuali inefficienti, ma anche di esporsi alle sanzioni dellUnione
Europea.
Il perdurare di questa situazione sta già
producendo effetti distorsivi sul mercato, in particolare per quanto riguarda la
sovra-offerta di terminal. Le previsioni di mercato sono tali per cui è molto difficile
attendersi un incremento dei traffici pari a quello conosciuto negli ultimi anni. La
portualità italiana dovrà ripartirsi volumi di traffico tendenzialmente costanti, a
fronte di un incremento dellofferta di terminal molto superiore. Leffetto è
che sia i terminal avranno un tasso di utilizzo inferiore alla media attuale con
conseguenze negative sulla redditività delle imprese.
In conclusione, ci attende un periodo di
crescita molto contenuta che produrrà una drastica selezione delle imprese
terminalistiche. Il PGT si impegna a trovare strumenti per evitare che questa selezione, a
causa delle distorsioni introdotte nel mercato dalla privatizzazione zoppa, colpisca le
imprese più efficienti e salvaguardi quelle meno efficienti.
Alla luce delle problematiche evidenziate,
il PGT suggerisce le seguenti linee:
il completamento della privatizzazione dei
porti;
la diffusione del terziario marittimo nei
porti;
misure per favorire la concentrazione di
imprese in modo da permettere investimenti nei terminal;
potenziamento dei collegamenti ferroviari;
promozione di terminal attrezzati per il Ro
Ro;
adeguamento delle statistiche portuali alla
privatizzazione.
4.2 Il raggiungimento degli standard di
servizio europei nella logistica
Alcuni Paesi europei, come Francia e Gran
Bretagna, hanno ottenuto brillanti risultati sulla produttività del trasporto su strada
sia con l'istituzione di borse merci telematiche, sia con un lungo processo di
ristrutturazione delle imprese di trasporto e di un forte miglioramento dei loro sistemi
organizzativi.
Andrebbe attentamente studiata la
costituzione di un'Agenzia di promozione del sistema logistico italiano all'estero, sul
modello dell'Olanda, con l'obiettivo di ridurre l'attuale forte deficit commerciale (il
67% delle merci italiane viene movimentato e trasportato da imprese straniere). Mille
container in transito generano un fatturato di circa 600 milioni, un utile di circa 50,
una entrata complessiva per lo Stato di 220 milioni e 5 posti di lavoro. Se fossero invece
sdoganati, e la merce stoccata, lavorata, reimballata e distribuita, il fatturato
salirebbe a 4,6 miliardi, l'utile a circa 370 milioni, l'entrata per lo Stato a 2,1
miliardi e i posti di lavoro a 42.
Non sembrano al momento necessarie
politiche particolari. Sono comunque da mettere in evidenza due punti importanti:
le politiche di sostegno
all'industrializzazione del Mezzogiorno e in particolare i distretti industriali devono
essere accompagnati da progetti logistici;
almeno nel Mezzogiorno, estensione alle
imprese di logistica e trasporto delle principali leggi di sostegno riservate
all'industria manifatturiera, in particolare delle misure per l'innovazione tecnologica,
per le aree depresse, per le nuove assunzioni e per l'acquisto di macchinari.
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