- 1. Gli anni difficili.
-
"Il porto delle nebbie", "Fronte del porto": negli anni 80, questi ed altri riferimenti, piu' o meno letterari ma tutti con connotazioni negative, venivano ripresi dalla stampa per descrivere la crisi del porto di Genova.
Alla fine dell'83 si scrisse perfino che le sirene delle navi, che
tradizionalmente salutano a mezzanotte il nuovo anno, non suonarono quella notte perchè non c'era neppure una nave in porto.
Leggende a parte, la realtà non era molto diversa. Le navi
erano scese da 12.000 all'anno nel 1970 a 5.000 nell'83.
Il porto di Genova che, sotto la Presidenza di Giuseppe
Dagnino, aveva inaugurato nel '69 il primo terminal
contenitori del Mediterraneo, era stato superato nei
contenitori da Marsiglia, Barcellona e Livorno e non era
in grado di seguire la crescita a livello mondiale di
questo importante traffico.
Valga per tutti la testimonianza di Alan Friedman sul
Financial Times dell'8 febbraio 1984 (fig. 1): "Apathetic
Genoa drifts into obscurity" dice il titolo, e piu'
avanti nel testo: "Il porto usa quattro volte piu'
manodopera di Rotterdam" e ancora "Genova come Liverpool,
ma almeno Liverpool ha un piano per il futuro".
Le ragioni, al di là del luogo comune che attribuiva ai
soli lavoratori portuali tutte le colpe, vanno ricondotte
ai motivi stessi che determinarono in passato la fortuna
di Genova: una posizione geografica invidiabile, strutture
portuali di grandi potenzialità, una cittàporto in grado
di fornire alla merce e alle navi ogni tipo di servizio.
Questi indubbi vantaggi avevano alimentato, in tutti
indistintamente i soggetti e gli operatori portuali,
quindi non solo nei lavoratori, l'erronea convinzione che
nave e merce avrebbero sopportato qualsiasi extracosto,
inefficienza o ritardo, pur di transitare per questo
porto.
Il vantaggio geografico si era trasformato in rendita
di posizione, o meglio nell'abuso di questa.
Navi e merci avrebbero presto dimostrato che, in un'Europa
solcata da autostrade e da trafori, la vicinanza di un
porto al suo hinterland non avrebbe piu' rappresentato un
fattore di protezionismo geografico in grado di colmare
ogni lacuna e di perdonare ogni sopruso.
Porti alternativi stavano affermandosi lungo l'arco Nord Tirrenico (prima Livorno, poi Savona e Spezia); ma quel
che ancora piu' grave, i porti del Nord Europa iniziavano ad estendere la propria area di influenza al di sotto dell'arco alpino: circa la metà del traffico della Pianura Padana stava ormai scegliendo la via del nord, e la Svizzera, che negli anni '50 si serviva di Genova per il
18% del suo traffico, era ormai proiettata interamente a Nord, con un residuo del 2:3% su Genova.
La crisi, già avvertibile alla fine degli anni '70, aveva
assunto nei primi anni '80 le proporzioni drammatiche già
dette.
Fu così evidente, a Genova piu' che in altri porti, che
doveva essere avviato un profondo processo di revisione e
di ristrutturazione, anche perchè i porti del Nord Europa,
piu' efficienti ed affidabili dei porti Mediterranei,
stavano dirottando a loro vantaggio anche quelle correnti
di traffico di naturale competenza del Mediterraneo, cioè
quelle destinate all'Europa centromeridionale e quelle
provenienti dall'oltre Suez: l'emarginazione di Genova,
ma anche dell'Italia e del Mediterraneo, era ormai un
fatto compiuto.
- 2. La ristrutturazione: la prima fase (198490).
-
Il processo che ha condotto all'attuale stato di completa
privatizzazione delle attività del porto di Genova si è
sviluppato nel corso di un decennio, avendo preso le mosse
dai documenti programmatici, noti come "libri blu"
presentati dal Presidente Roberto D'Alessandro, a pochi
mesi dal suo insediamento, all'assemblea del Consorzio
Autonomo del Porto (C.A.P.) del 31 maggio 1984.
La prima fase (19841990) della ristrutturazione allora
avviata poggiava sul concetto di separazione, di ruoli e
di funzioni, fra diversi soggetti, allo scopo di rendere
operativo un sistema portuale coerente con le aspettative
del mercato e perciò liberato dagli stretti vincoli
imposti dalla normativa regolatrice dell'attività
pubblica: così come avviene nei porti nordeuropei.
In sintesi "l'autoriforma" del 1984 prevedeva (fig. 2)
una triplice ripartizione funzionale contraddistinta dal
livello istituzionale affidato al C.A.P. e concernente il
ruolo di pianificazione e controllo, dal livello
strategico demandato ad una società costituita ad hoc (la
Porto di Genova S.p.A.) per il ruolo di coordinamento, di
marketing e di sviluppo delle funzioni imprenditoriali;
infine dal livello operativo affidato a società impegnate
nella gestione dei traffici portuali (Terminal Contenitori
S.p.A. e Merci Convenzionali S.p.A., oltre ad Aeroporto e
Porto Petroli) e nella fornitura di servizi di interesse
generale (Sistemi e Telematica, Servizi Ecologici, e
Riparazioni Navali SpA).
Le società indicate sopra sono alcune, e le piu'
importanti, di quelle effettivamente costituite nei primi
anni di applicazione del piano di figura 2.
La caratteristica fondamentale delle società create con il
riassetto del 1984 era rappresentata dall'apertura
dell'azionariato alla partecipazione di tutti gli
operatori portuali (Compagnie e privati) nel rispetto del
principio secondo il quale la maggioranza delle azioni
doveva comunque essere, allora, detenuta dal Consorzio
Autonomo del Porto; ciò costituiva adeguata garanzia per
il passaggio dei dipendenti C.A.P. presso le società nella
forma, concordata con le Organizzazioni Sindacali, del
"distacco".
L'accordo sul distacco, firmato con il sindacato il 24
luglio 1985 (fig. 3), rappresenta uno schema originale di
transizione graduale da pubblico a privato: esso viene
sperimentato sulla realtà portuale genovese, trova
successive applicazioni nella privatizzazione di altri
settori industriali (telefoni e ferrovie) e viene
definitivamente legittimato dalla legge 84 del 28 gennaio
94, che lo estende a tutti i porti italiani.
In sintesi, la costituzione di società a capitale misto
costituì il primo passo verso la privatizzazione nella
gestione dei servizi portuali che si sarebbe completata in
un decennio.
Sul fronte del numero dei lavoratori impiegati, interventi
legislativi (legge n. 26 del 1987) di prepensionamento
portarono a ridimensionare l'occupazione nel porto di
Genova, nel periodo 8490, da 8.500 addetti a circa 3.000
unità, di cui 200 di nuova assunzione con contratto
privato presso le società (vedere nel seguito fig. 7).
La forte contrazione della manodopera portuale, tanto
nell'organico C.A.P. quanto tra i lavoratori portuali, e
piu' ancora i tentativi da parte del Ministero, del
Consorzio e degli imprenditori di ridefinire i limiti del
monopolio del lavoro, furono accompagnati da
conflittualità sociali molto accese che pregiudicarono
l'operatività del porto di Genova fino a paralizzarne
l'attività, in maniera pressochè completa, nel corso di un
lungo periodo del 1989.
L'inasprimento della conflittualità, giunta a livelli
estremi a seguito dell'emanazione del Decreto Ministeriale
Prandini del 6 gennaio 1989 in materia di "individuazione
delle operazioni riservate alle maestranze operanti nei
porti nazionali", ed il conseguente blocco delle attività
portuali evidenziarono l'esigenza di procedere piu'
rapidamente verso la privatizzazione.
- 3. La seconda fase: dal 1990 al completamento della
privatizzazione.
Sotto la Presidenza di Rinaldo Magnani, l'Assemblea
generale del Consorzio Autonomo del Porto del 19 luglio
1990 stabilisce un ulteriore passo avanti nel processo di
privatizzazione.
Si apre così la seconda fase (199095) che, mantenendo al
C.A.P. il ruolo di pianificazione e controllo delle
attività portuali, affida la gestione delle attività
stesse all'imprenditoria privata, che assume il
progressivo controllo delle società operative. Queste
ultime vengono ridisegnate nei loro contenuti al fine di
individuare chiare vocazioni merceologiche, con una
corrispondenza diretta con le vocazioni imprenditoriali
dei soggetti a cui veniva affidata la gestione.
Lo spazio portuale precedentemente gestito dalla Società
Merci Convenzionali viene così suddiviso in diversi
terminal specializzati, affidati a quelli, tra gli
operatori privati, ritenuti dal C.A.P. idonei, per
capacità tecniche e finanziarie, a sviluppare un volume di
traffici coerente con le potenzialità insite nelle
infrastrutture concesse.
Nei loro confronti il C.A.P. si configura come soggetto
autoritativo di regolamentazione delle attività, come
pianificatore del territorio portuale e degli investimenti
strutturali, come interfaccia con gli enti preposti alla
definizione delle politiche nazionali e, infine, come
controllore delle gestioni operative.
Ancora, il processo di trasformazione viene assecondato da
interventi normativi che modificano la legislazione
vigente in materia di lavoro portuale.
Il percorso in questione, muovendo dalla sentenza della
Corte di Giustizia CEE del 10.12.1991 (relativa, non a
caso, ad una vertenza genovese) e passando attraverso
pareri del Consiglio di Stato, decreti e circolari
ministeriali, approda alla definitiva abolizione del
monopolio in materia di lavoro portuale, così come era
configurato dal Codice della Navigazione, con la legge n.
84 del 28 gennaio 1994.
Questa stessa legge, che costituisce l'attuale punto di
riferimento per il riordino della portualità nazionale,
nell'introdurre il concetto di privatizzazione delle
attività portuali, riprende il modello già attuato nello
scalo genovese, creando le nuove Autorità Portuali con
finalità di pianificazione e controllo e legittimando
l'istituto della concessione quale strumento idoneo a
trasferire la gestione delle funzioni operative dal
soggetto pubblico a quello privato.
In definitiva, senza scendere nell'analisi della legge
nazionale di riordino, l'autoriforma attuata nel porto di
Genova ha rappresentato una realizzazione "ante legem" dei
principibase della normativa nazionale.
- 4. Gli investimenti in nuove tecnologie.
Un processo di ristrutturazione di ampie dimensioni non
può oggi realizzarsi, soprattutto quando l'obiettivo sia
un notevole incremento di produttività, senza ricorrere ad
investimenti rilevanti ad elevato contenuto tecnologico.
Il piano di investimenti degli ultimi dieci anni, a fronte
di un impegno complessivo di 350 miliardi di lire della
parte pubblica, ha comportato investimenti privati per un
importo circa doppio (includendo le somme impegnate
nell'esercizio corrente).
Gli aspetti piu' rilevanti dal punto di vista tecnologico
riguardano:
le tecnologie di movimentazione e di sollevamento.
Il porto si è dotato di due terminal contenitori (Calata
Sanità e Voltri) per navi postPanamax della capacità
complessiva a regime di 2 milioni di TEU (contenitori
equivalenti da 20 piedi). Ha realizzato due stazioni
marittime per crociere e traghetti (quest'ultima in
costruzione), un terminal automatizzato per la frutta ed
i prodotti deperibili, tre terminal multiuso e RoRo, un
terminal rinfuse dotato di impianti automatici di
movimentazione, messa a parco e ricarico su rotabili,
oltre a notevoli interventi sull'operatività e sulla
sicurezza del terminale petrolifero;
le tecnologie informatiche e telematiche.
Il supporto fisico è costituito dalla rete portuale a
fibra ottica, attualmente in fase di estensione fino a
Voltri. E' previsto il collegamento, su iniziativa
Regionale e su fondi comunitari, con analoghe reti
realizzate nei porti vicini di Savona e La Spezia,
attuando la connessione telematica come primo livello di
un'auspicata maggiore integrazione tra i porti liguri.
Lo sviluppo delle tecnologie e dei sistemi è affidato
alla società di servizi (SET Sistemi e Telematica
S.p.A.) già citata, che opera da un decennio
inizialmente su problemi interni al porto, oggi sul
libero mercato. Tra i sistemi realizzati, e già forniti
anche all'estero, si possono elencare il controllo delle
navi all'interno (SETSHIP) e all'esterno (VTS) del
porto, l'automazione di terminal contenitori e terminal
rinfuse, il sistema EDI per la documentazione e lo
sdoganamento della merce (SETFREIGHT), il bilanciamento
del carico della nave, la supervisione della sicurezza
nel porto, la gestione informatizzata del territorio e
del demanio marittimo.
Occorre osservare che, soprattutto in tema di tecnologie
informatiche, non è oggi possibile operare con effi-
cienza nel ristretto ambito di una realtà locale o
al massimo regionale. E' recente l'iniziativa della
Società per la costituzione di un GEIE (Groupement
Europeàn d'Interet Economique) denominato EUROMAR, con
sede a Genova per lo sviluppo, congiunto con Francia,
Spagna e Grecia, di sistemi integrati per una gestione
telematica estesa per lo meno a livello di bacino
Mediterraneo: analogo GEIE opera da tempo tra i porti
del Nord Europa, e si prevede un collegamento tra i due
GEIE.
- 5. Passeggeri, industria e turismo: il portocittà.
Si tende a pensare il porto sempre e solo in relazione
all'operazione di carico/scarico della merce dalla nave.
Ma un porto, specie se di grandi dimensioni, integra nel
suo territorio un complesso di funzioni di servizio o di
complemento sia alla merce che alla nave.
Queste attività si sono sviluppate negli anni senza un
piano preciso: officine di riparazione navale, uffici di
spedizionieri ed agenti marittimi, approdi per navi
passeggeri e porti turistici si alternano nel territorio
portuale rispondendo piu' a condizionamenti storici che a
criteri di razionalità urbanistica.
Nel piano dell'84 si opera una prima razionalizzazione del
territorio: le officine sparse tra Molo Giano e Foce
Polcevera vengono collocate nell'area a Levante del Molo
Vecchio (il trasloco verrà completato negli anni seguenti,
prevalentemente entro il 1992) dove risiedono i bacini di
carenaggio; al porto passeggeri viene dedicato lo spazio,
vicino al centro città, tra Ponte dei Mille e Ponte
Colombo, successivamente esteso fino a Ponte Caracciolo;
infine alle funzioni turistiche e allo sbocco a mare del
centro storico vengono destinati gli spazi in fregio alla
storica "Ripa" della vecchia Genova.
E' significativo riportare la citazione del Libro Blu
dell'84: "da Molo Vecchio Ponente a Ponte Parodi: area per
attività turistiche e culturali, aperta alla città". La
pianificazione portuale quindi asseconda, in questo caso
si potrebbe dire anticipa (siamo nell'84, quattro anni
prima del progetto EXPO), le esigenze di riappropriazione
del porto storico da parte della città: un altro
significativo atto di autoriforma.
Questo primo riassetto del porto prelude al nuovo Piano
Regolatore Portuale, che parte oggi sulla base della nuova
normativa della legge 84/94: la prima razionalizzazione
delle funzioni portuali attuata nello scorso decennio
consente una lettura piu' chiara del territorio, e
facilita le scelte di piano.
- 6. I primi risultati dell'autoriforma genovese.
L'autoriforma genovese si è , di fatto, completata nel
dicembre 1994 con l'affidamento in concessione annuale
dell'ultimo terminal ("multipurpose") alla Compagnia dei
Lavoratori Portuali trasformata in impresa, e con la
costituzione dell'Autorità Portuale avvenuta, su decreto
del Commissario (fig. 4), il 1 gennaio 1995. Ciò è stato
possibile, a Genova prima che in ogni altro porto
italiano, perchè qui si era predisposta da tempo
l'enucleazione in società autonome di ogni attività
operativa incompatibile con il nuovo assetto di cui alla
legge 84/94. Negli altri porti, infatti, si mantenne in
vita anche la preesistente organizzazione portuale per la
gestione a stralcio delle attività incompatibili, qui a
Genova già trasformate.
A seguito di quest'ultimo passaggio, lo scalo si presenta
articolato in 19 società direttamente coinvolte nella
gestione dei traffici portuali ed in 7 società di servizi,
tutte operanti sotto le direttive dell'Autorità Portuale
(Fig. 5).
Vale la pena di soffermarsi su due terminal: "Consorzio
Multipurpose" e "Ignazio Messina S.p.A.". Essi nascono dal
terminal "multipurpose" di cui sopra, affidato tempora-
neamente alla Compagnia Portuale CULMV trasformata in
impresa. La Compagnia Impresa, quindi, opera in regime
di concorrenza con altri terminal portuali accettando, in
linea di principio, il confronto con il libero mercato:
esempio a tutt'oggi innovativo e inedito nella portualità
italiana ed europea. La gestione temporanea alla Compagnia
ha consentito inoltre un importante accordo tra soggetti
imprenditoriali, rendendo di fatto possibile il rientro a
Genova dell'armatore Messina, fuggito dal nostro porto
negli anni difficili.
Il riassetto di questo terminal si realizza nel corso del
1996 sotto la Presidenza di Giuliano Gallanti: in questo
stesso periodo si procede alla costituzione dell'ultima
società di servizi, la "Servizi Ferroviari Portuali",
società di lunga gestazione resa finalmente attuabile dal
Decreto Ministeriale del 4 aprile 1996, che classifica le
manovre ferroviarie tra i servizi di interesse generale
dei porti.
Per ciò che concerne i volumi di traffico movimentati, gli
esercizi caratterizzati dalla progressiva affermazione del
modello privatistico (dal 1983 in poi) hanno fatto
registrare risultati soddisfacenti, culminati nel 1995 con
i massimi storici nel settore delle merci varie (con oltre
10 milioni di tonnellate), dei contenitori (615.000 TEU, +
79% sul 1993) e dei passeggeri (2,4 milioni).
L'andamento positivo dei traffici (Fig. 6) tanto piu' è
significativo qualora si consideri che tali risultati,
ancora nell'ultimo esercizio, sono stati ottenuti con un
apporto ancora modesto del terminal "multipurpose", solo
oggi in fase di definitiva assegnazione, e con un
contributo per ora limitato da parte del nuovo terminal
contenitori di PràVoltri, inaugurato nel maggio del 1994
e quindi ancora lontano dal pieno regime operativo.
Ancora, vale la pena sottolineare che lo sviluppo si è
realizzato con ritmi di crescita ben superiori a quelli
dei concorrenti, non essendo commisurato all'evoluzione
naturale dei traffici propri, ma traendo ulteriore
contributo dall'acquisizione, o dal ritorno, di ben 30
nuove Compagnie di navigazione nel biennio 1994/1995.
Per ciò che concerne l'occupazione (fig. 7), è proseguita
negli ultimi anni la tendenza alla contrazione ed alla
trasformazione degli organici, fino ad un numero di
addetti pari, a fine 1995, a 2.200 unità, di cui circa la
met rappresentata da assunzioni private.
L'aumento di produttività, conseguente alla riduzione del
personale e al contemporaneo raddoppio dei traffici ad
alto valore aggiunto, è stato superiore ad ogni
aspettativa: un salto da 1 a 8 in un decennio non ha
riscontri in altri settori industriali e di servizio. Esso
è riprova, da un lato del livello preoccupante di
inefficienza iniziale, dall'altro della profondità e della
coerenza dell'intervento svolto.
Il punto della coerenza è forse quello che piu' sorprende,
ove si rifletta che nell'arco di poco piu' di un decennio
si sono alternati tre Presidenti, un Ammiraglio e un
Commissario al vertice di un Ente, la cui struttura ha
subìto rapidi avvicendamenti per effetto dei
prepensionamenti. Ma forse proprio gli apporti esterni e i
contributi di esperienze diverse hanno potuto imprimere un
indirizzo fortemente innovativo in una realtà, come quella
portuale genovese, nota per la sua propensione
conservatrice.
In futuro, i nuovi livelli di efficienza raggiunti
potranno contribuire ad un effettivo sfruttamento dei
punti di forza su cui possono contare i porti nazionali, e
segnatamente quelli nordtirrenici, in relazione al loro
posizionamento geografico.
Infatti, gli scali dell'arco nord occidentale del Tirreno
godono di una localizzazione particolarmente favorevole
sia per ciò che concerne le rotte marittime, consentendo
rispetto ai concorrenti del Nord Europa risparmi in
termini di tempo di navigazione pari a 56 giorni per
tutte le rotte con origine/ destinazione Suez, sia con
riferimento ai mercati interni che si estendono fino a
Svizzera, Austria e bassa Germania. Ciò, sia ben chiaro, a
patto che vengano realizzati dal Governo Italiano e
dall'Unione Europea quegli interventi infrastrutturali
(valico ferroviario appenninico e bretelle autostradali e
ferroviarie) che garantiscono l'integrazione europea del
nostro porto.
Il recupero di un ruolo prioritario nella gestione dei
traffici via Suez appare, da un lato, di assoluto rilievo
commerciale qualora si pensi che le rotte con l'Oriente
sono contraddistinte dai piu' elevati tassi di crescita a
livello mondiale, e d'altra parte esso coincide con
l'interesse economico dell'Europa, qualora si considerino
le maggiori distanze, ed i maggiori tempi e costi, che
sopportano questi traffici se vengono dirottati sugli
scali del nord Europa.
In questo senso il recupero di efficienza dei porti
nazionali va interpretato come il recupero della funzione
portuale del sud Europa: solo così potrà essere restituita
competitività ai prodotti importati ed esportati
dall'Europa verso l'Estremo Oriente, area forte dello
sviluppo economico e tecnologico mondiale.