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Gli utenti portuali criticano la «concezione sindacale monolitica dell'impresa portuale»
Il Comitato degli utenti spiega oggi in un documento la sua posizione sulla terziarizzazione delle attività portuali
20 dicembre 2001
Il Comitato nazionale di coordinamento degli utenti e degli operatori portuali ha precisato oggi la sua posizione in merito alla problematica sulla terziarizzazione delle attività portuali, criticando la posizione assunta dal sindacato e «all'interpretazione che si è intesa dare alla vigente legislazione generale e speciale in materia, oltre che alla decisione della Commissione Europea del 21 ottobre 1997». Il Comitato, nel documento che riportiamo di seguito, respinge la «concezione sindacale monolitica dell'impresa portuale», che «sembra ispirarsi più a vecchi modelli monopolistici del lavoro che ad un concetto di impresa moderna e flessibile capace di realizzare le migliori condizioni di competitività nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori». «Ma quel che più conta - ha sottolineato il Comitato - tale concezione monolitica non è stata condivisa dalla Commissione Europea la quale ha espressamente dichiarato nella sua decisione che all'interno del ciclo delle operazioni portuali ci possano essere più operatori: "tutte le operazioni portuali sono complementari le une rispetto alle altre e ciascuna di tali prestazioni può essere fornita da un operatore differente"».
COMITATO NAZIONALE DI COORDINAMENTO DEGLI UTENTI E DEGLI OPERATORI PORTUALI
Antep Assocostieri Assologistica Confetra Confindustria Confitarma Fedarlinea Federagenti Unione Petrolifera

Roma, 13 dicembre 2001




LA TERZIARIZZAZIONE NELL'ATTIVITÀ PORTUALE
- CONTRIBUTO DEL COMITATO -



Volendo ripercorrere il ragionamento sviluppato dal sindacato sulla problematica attinente la terziarizzazione delle attività portuali si rendono necessarie alcune importanti precisazioni riguardo all'interpretazione che si è intesa dare alla vigente legislazione generale e speciale in materia, oltre che alla decisione della Commissione Europea del 21 ottobre 1997.


Una corretta lettura della legge 23/10/1960 n. 1369.


Le norme contenute nella legge n. 1369/60 hanno principalmente lo scopo di evitare che il rapporto bilaterale tra il lavoratore e l'imprenditore si trasformi in un rapporto trilaterale nel quale il terzo soggetto assuma fittiziamente la veste di datore di lavoro al solo fine di liberare dagli obblighi di legge colui che si avvale effettivamente delle prestazioni lavorative.


In altre parole, quindi, la principale finalità della legge è quella di vietare forme di appalto volte a mascherare una mera prestazione di manodopera e qualora questa fattispecie si dovesse verificare i lavoratori dipendenti del fittizio appaltatore vengono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore committente che ha effettivamente utilizzato le loro prestazioni.


In questo caso la legge addirittura arriva ad individuare una presunzione "juris et de jure", al terzo comma dell'art. 1, ove si afferma che sono considerati appalti di mere prestazioni di lavoro quelli ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante anche se per l'uso delle stesse venga corrisposto un compenso all'appaltante.


Ciò premesso è necessario però distinguere quello che la legge n. 1369/60 vieta (appalto di manodopera) da ciò che invece dichiara pienamente ammissibile (appalto di opere e servizi).


Ci si riferisce in particolare alle disposizioni contenute all'art. 3 della citata legge che ammette la possibilità per un imprenditore di appaltare operazioni o servizi con organizzazione propria da svolgersi all'interno dell'azienda dell'appaltante. Intendendo l'interno dell'azienda non in senso topografico quanto piuttosto in senso organizzativo e cioè che l'attività svolta dall'appaltatore rientri nel ciclo produttivo dell'appaltante; deve cioè sussistere un collegamento funzionale ed organico tra l'attività svolta dai lavoratori dell'impresa appaltatrice e l'attività dell'impresa appaltante.


In caso di appalto di servizi il legislatore pur ammettendo la legittimità di tale appalto ha imposto alle imprese le seguenti condizioni:
  1. l'appaltante e l'appaltatore sono tenuti in solido a corrispondere ai lavoratori di quest'ultimo un trattamento minimo inderogabile retributivo, normativo e previdenziale "non inferiore a quello spettante ai lavoratori dell'impresa appaltante";
  2. i diritti dei lavoratori dell'impresa appaltatrice potranno essere esercitati nei confronti dell'impresa appaltante fino alla scadenza di un anno dalla cessazione dell'appalto.
Decisione della Commissione Europea del 21.10.1997 e l'iter parlamentare della legge n. 186/2000.


In primo luogo è necessario ricordare che la Decisione del 21/10/1997 della Commissione Europea - che ha diretta efficacia e crea quindi diritti nei confronti dei singoli, diritti che tutti i giudici degli Stati membri sono tenuti a tutelare - dichiarò incompatibile con la normativa comunitaria la soluzione legislativa adottata per il lavoro portuale con legge n. 647/96, legge emanata all'epoca in cui l'on. Burlando ricopriva la carica di Ministro dei Trasporti e della Navigazione.


La palese illegittimità della disposizione contenuta nell'art. 17 apparve talmente evidente alla Commissione Europea che indusse la stessa a una attenta valutazione critica della disciplina legislativa regolante il mercato del lavoro portuale.


In questa valutazione la Commissione precisò che il lavoro portuale in Italia si divideva in tre mercati distinti:
  1. il mercato delle operazioni portuali per conto terzi;
  2. il mercato della prestazione di manodopera temporanea;
  3. il mercato degli appalti di servizi ad alto contenuto di manodopera.
Rispetto a questi tre mercati la Commissione formulò alcune importanti affermazioni come quella secondo cui il mercato dell'appalto dei servizi può offrire sia un servizio completo che più servizi svolti in regime di appalto da più operatori. La scelta di appaltare o meno implica notevoli conseguenze in termini di organizzazione del lavoro, investimenti in formazione e in materiale, assunzioni ecc. Pertanto, l'esecuzione diretta delle operazioni o l'affidamento in appalto delle stesse non erano opzioni perfettamente intercambiabili.


La Commissione aggiungeva inoltre che mentre con il ricorso alla manodopera temporanea si operava un acquisto di mezzi, con il ricorso all'appalto si operava un acquisto di risultato. Questa distinzione deve però essere pienamente compresa per evitare che dalla stessa possano esser fatte derivare conclusioni del tutto contrastanti con quanto dichiarato dalla Commissione stessa.


L'appalto di servizi permette infatti all'impresa appaltante di far eseguire una parte del ciclo operativo ad un terzo ed il contratto di appalto si deve pertanto intendere cessato con l'esecuzione di tale servizio, cioè con il raggiungimento del risultato oggetto dell'appalto. Appare evidente altresì che l'impresa appaltante delega all'impresa appaltatrice una parte delle responsabilità di organizzazione e di gestione e che il personale dell'impresa appaltatrice svolgerà le proprie prestazioni sotto gli ordini e con le modalità impartite da quest'ultima.


L'appalto di manodopera temporanea invece non comporta alcuna modifica organizzativa dell'impresa appaltante la quale viene semplicemente a disporre di personale supplementare durante un periodo determinato.


Dalle considerazioni sopra esposte la Commissione faceva derivare la seguente conclusione: il ricorso alla manodopera temporanea e l'appalto di servizi rispondono ad una diversa tipologia della domanda, la manodopera temporanea ha lo scopo dichiarato di far fronte ai picchi della domanda, il ricorso all'appalto di servizi può inquadrarsi in una logica industriale di terziarizzazione delle attività alla quale la manodopera temporanea non è assolutamente in grado di rispondere.


Premesse queste doverose precisazioni ci sembra assolutamente arbitrario, fuorviante ed in ogni caso incompatibile con la Decisione della Commissione Europea l'affermazione sindacale secondo cui il ciclo delle operazioni portuali è costituito da parti che per ordine, efficacia e razionalità non possono che rispondere ad un'unica potestà organizzativa e quindi non possono essere svolte se non da una sola impresa sotto un unico comando.


Tale affermazione non può in alcun modo essere condivisa ed è smentita dai fatti; è sufficiente ricordare ciò che avviene in tutti i settori produttivi ove la terziarizzazione è considerata lo strumento più efficiente ed economico per la produzione di beni o servizi.


Quindi nessun pericolo di anarchia dell'impresa sottoposta a più centri di comando all'interno di un ciclo che non può essere decentrato, questa concezione sindacale monolitica dell'impresa portuale sembra ispirarsi più a vecchi modelli monopolistici del lavoro che ad un concetto di impresa moderna e flessibile capace di realizzare le migliori condizioni di competitività nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.


Ma quel che più conta tale concezione monolitica non è stata condivisa dalla Commissione Europea la quale ha espressamente dichiarato nella sua decisione che all'interno del ciclo delle operazioni portuali ci possano essere più operatori: "tutte le operazioni portuali sono complementari le une rispetto alle altre e ciascuna di tali prestazioni può essere fornita da un operatore differente".


Peraltro anche lo stesso Ministero dei Trasporti e della Navigazione nella sua relazione inviata al Consiglio di Stato nel commentare il contenuto della bozza di regolamento attuativo della legge n. 186/2000 nel descrivere il ciclo delle operazioni portuali sottolinea che " il ciclo può essere svolto interamente da una sola impresa oppure frazionatamente da più imprese".


È infine importante sottolineare che la Commissione quando usa il termine "servizi" si riferisce ad uno o più segmenti del ciclo delle operazioni portuali e non anche ai "servizi portuali" introdotti dalla legge n.186/2000 che come è noto consistono in attività esterne al ciclo delle operazioni portuali allo stesso collegate in quanto complementari e accessorie.


Con la legge n. 186/2000, pertanto, non sono stati disciplinati i servizi portuali così come erano stati individuati dalla Commissione Europea nella sua decisione, cioè segmenti del ciclo operativo, ma si è piuttosto individuata una figura nuova costituente un quarto mercato del quale nessun operatore aveva avvertito la mancanza dal momento che quelle attività venivano già svolte liberamente in ambito portuale dalle imprese autorizzate ovvero da quelle iscritte nel registro dell'art. 68 cod. nav.Conclusioni


Sulla base di queste premesse si possono trarre le seguenti chiavi di lettura della vigente legislazione:
  1. La legge n. 1369/60 si applica nel settore portuale nel senso che viene prevista dalla legge n.186/2000 una deroga all'art.1 per permettere alla impresa portuale, autorizzata ai sensi dell'art.17, di fornire lavoro portuale temporaneo alle altre imprese portuali per far fronte ai loro picchi di traffico, in questa fattispecie infatti si versa chiaramente nell'ipotesi di appalto di manodopera vietato dalla legge salvo che non sia prevista una apposita deroga;

  2. La legge n. 1369/60 riconosce però come legittimi anche quegli appalti di opere e servizi che siano svolti all'interno del ciclo operativo dell'impresa appaltante purché l'impresa appaltatrice sia dotata di propria autonoma organizzazione e venga garantito ai suoi lavoratori un trattamento economico e normativo pari a quello riconosciuto ai lavoratori dell'impresa appaltante. Questa parità di trattamento, peraltro garantita solidalmente dalle due imprese, non significa però che debba esistere un contratto collettivo di lavoro unico per realizzare tale risultato.

  3. La legge n. 186/2000 all'art. 17, comma 13 non prevede quindi la stipula di un contratto collettivo unico valido per tutti i lavoratori delle imprese portuali quanto piuttosto solo per i lavoratori delle imprese operanti in regime di monopolio ai sensi dell'art. 17 che forniscono lavoro portuale temporaneo. L'obbligo di applicare tale contratto solo a questi lavoratori appare evidente dalla lettura del primo comma del citato art. 17 che così recita: "Il presente articolo disciplina la fornitura di lavoro temporaneo …..". Quindi questo articolo non può coinvolgere se non i lavoratori dipendenti dell'impresa fornitrice di lavoro portuale temporaneo ed in tal senso anche le altre imprese portuali richiedenti tale lavoro devono applicarlo nei riguardi di detti lavoratori.

  4. La legge n. 186/2000 non ha introdotto né poteva legittimamente introdurre una parificazione contrattuale tra tutti i lavoratori portuali che può scaturire, ai sensi dell'art. 39 della Costituzione, solo dalla libera contrattazione tra le Associazioni di categoria e le Organizzazioni sindacali.

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