Rapporto Federazione del Mare/Censis
Economia del Mare e Sviluppo del Paese
FEDERAZIONE DEL MARE
Presidente ALDO GRIMALDI
Roma, 7 novembre 1996
CNEL
La realizzazione di una ricerca così approfondita sull'economia
marittima e le sue diverse componenti è una novità
che voglio sottolineare, perché fornisce a tutti -addetti
ai lavori ed opinione pubblica non specializzata- gli elementi
di base per impostare e valutare con cognizione di causa gli interventi
di politica marittima, generale e settoriale.
E' significativo, del resto, che la Commissione Europea abbia
avviato una analoga indagine sull'impatto economico e sociale
della navigazione, estesa a tutti gli Stati Membri, affidandone
la realizzazione al centro di ricerca condotto dal Prof.Peeters,
uno dei relatori che la Federazione del Mare ha opportunamente
invitato a questo convegno.
Ciò vuol dire che in Europa, ai più elevati livelli
istituzionali, ci si pone il problema di precisare le dimensioni
economiche delle attività marittime e la loro dinamica
in relazione al resto dell'economia, un'operazione propedeutica
ad ogni serio progetto di definizione complessiva della politica
marittima, tanto sul piano europeo che su quello nazionale.
Si tratta peraltro di un'operazione nient'affatto facile, data
la complessa articolazione delle attività di impresa marittima
e -per certi versi- la loro eterogeneità: una eterogeneità,
a ben vedere, più apparente che reale, posto che -come
ha efficacemente messo in luce il collega d'Amico- esiste una
profonda comunanza di problemi, di interessi, di valori, che unisce
tutti gli imprenditori del mare ed è legata, da una lato,
alla specialità sotto il profilo tecnico e culturale dell'attività
sul mare; dall'altro, alla forte internazionalizzazione dei mercati
di riferimento ed a quanto ciò comporta in termini di conduzione
di impresa in un ambiente fortemente concorrenziale.
L'indagine del Censis conferma che la parte prevalente dell'economia
del mare ruota attorno al trasporto per nave di merci e passeggeri
e, quindi, attorno alla flotta mercantile, che -sia pure con quote
progressivamente cedenti - resta il primo fornitore di servizi
di trasporto marittimo al Sistema Italia.
L'analisi del Censis mette bene in luce questa circostanza, attribuendo
un valore elevato (superiore a 3) al moltiplicatore del reddito
riferibile alla navigazione mercantile, e mettendo così
in evidenza come l'andamento di questa attività si rifletta
con amplificazioni molto significative sulle altre branche dell'economia.
Scorrere le tabelle dei costi intermedi predisposte dai ricercatori,
ove sono quantificati in dettaglio gli approvvigionamenti diretti
della navigazione mercantile dalle altre branche dell'economia,
è molto istruttivo, a mio parere: nel 1994 tali acquisti
sarebbero ammontati nel complesso a quasi 13.000 miliardi di lire
ed avrebbero dato lavoro ad oltre 50.000 addetti nell'industria
manifatturiera e nei servizi:
- acquisti per 4.700 miliardi sono stati effettuati presso i
fornitori di servizi ausiliari dei trasporti (tra i quali le imprese
di agenzia e intermediazione marittima e le imprese terminaliste
portuali);
- per 4.000 miliardi, presso le industrie petrolifere;
- per 1.200 miliardi, presso l'industria cantieristica;
- per 190 miliardi, presso gli istituti di credito;
- per 180 miliardi, presso le imprese di assicurazione;
- 150 miliardi sono stati spesi per servizi ricreativi e culturali
ed altri 100 miliardi per gli approvvigionamenti di carne.
Come vedete, l'impatto economico dell'esercizio della navigazione
mercantile è quanto mai ampio e diversificato.
Per questo tengo in modo particolare a dare un'immagine più
definita dell'armamento nazionale, che ho l'onore di rappresentare.
La flotta italiana presenta ad inizio '96 una consistenza di 8.800.000
tonnellate di stazza lorda, di cui 1.900.000 costituite da naviglio
temporaneamente in locazione a scafo nudo all'estero.
Essa occupa il sesto posto per capacità di trasporto controllata
tra le flotte della Unione Europea ed il sedicesimo tra quelle
mondiali (il ventesimo se si considera soltanto la flotta sotto
bandiera nazionale).
Una posizione del tutto insoddisfacente, determinata in massima
parte dall'indebolimento della componente di naviglio adibita
ai servizi di navigazione internazionale, la cui gestione commerciale
risulta esposta alla concorrenza delle altre flotte europee e
mondiali, che in massima parte godono di condizioni fiscali e
retributive più favorevoli, come ha ampiamente riconosciuto
il recente Rapporto del Commissario europeo Kinnock per una nuova
strategia marittima europea.
In proposito il Rapporto Federazione del Mare/Censis riporta,
tra gli approfondimenti, il caso emblematico della Bulkcarrier
"Alessandra D'Amato", dal cui dettagliato piano delle
entrate e delle uscite per l'anno 1995 risulta un margine operativo
lordo negativo per oltre 300 milioni di lire, contro gli 800-900
milioni di lire in positivo che per analogo tipo di nave e a parità
di nolo conseguirebbe il concorrente norvegese o greco.
Non stupisce che, in queste condizioni, l'emorragia di naviglio
resti costante e sia parzialmente arginata solo dal ricorso al
regime del "bare boat charter", cioè di locazione
della nave a scafo nudo all'estero: una limitata e temporanea
forma di gestione internazionalizzata, la cui applicazione è
concertata caso per caso con le organizzazioni sindacali, ed ha
consentito a partire dal 1991 di mantenere entro l'ordinamento
italiano parte della flotta più esposta alla concorrenza
estera.
Ma è assolutamente improcrastinabile adottare misure organiche
di revisione del regime della flotta. Tali misure sono da tempo
all'esame del Ministero dei Trasporti e della Navigazione e delle
Organizzazioni sindacali, ma devono tradursi in tempi brevi in
una proposta legislativa.
Più articolata , ma solo in pochi casi davvero soddisfacente,
risulta la posizione italiana nelle graduatorie internazionali
delle flotte per tipologia di naviglio: l'Italia occupa il terzo
posto tra le flotte passeggeri, l'undicesimo tra le flotte cisterniere,
il quindicesimo tra le flotte "bulkcarrier" ed il diciassettesimo
tra le flotte portacontainer.
La forte posizione italiana nel trasporto di passeggeri va sottolineata,
perché conferma nei fatti la forte interrelazione esistente
tra differenti branche di attività marittima. Se infatti,
l'Italia ha raggiunto una posizione di leadership mondiale nell'industria
delle costruzioni di navi passeggeri (ed il Presidente Antonini
è testimone e artefice di questo successo), ciò
è dipeso non soltanto dalla capacità della nostra
cantieristica, ma anche dal dinamismo e dalla capacità
di investimento degli armatori italiani del settore.
Sotto il profilo qualitativo, quella italiana si presenta nel
complesso come una flotta giovane e tecnologicamente avanzata
(il 45% della flotta ha un'età inferiore a 10 anni ed il
28% inferiore a 5 anni). Ciò a seguito del massiccio programma
di costruzioni navali avviato dall'armamento a partire dal 1990,
che prevede la costruzione di circa 390 nuove navi, per oltre
3.900.000 tonnellate di stazza lorda, e risulta realizzato già
per oltre tre quarti.
Permettetemi di fornire qualche numero.
Tra il 1990 e il 1995 sono state varate:
- oltre 90 navi da carico liquido, incluse diverse decine di
gassiere e chimichiere e petroliere a doppio scafo
- 30 navi da carico secco
- 90 navi passeggeri, tra cui 14 navi da crociera e 22 navi
traghetto, ad elevatissimo valore aggiunto
- 90 navi per servizi ausiliari
A queste si aggiungono importanti operazioni di trasformazione
di navi esistenti.
L'impegno finanziario complessivo è stato di oltre 8.500
miliardi di lire. Investimenti per altri 7.500 miliardi sono in
via di realizzazione da qui al 2000.
Applicando il valore di Moltiplicatore del reddito definito dal
Censis per il settore, pari a 3,14, ciò significa che,
nell'arco dell'ultimo decennio di questo secolo, l'Armamento avrà
attivato risorse nel complesso dell'economia nazionale per oltre
50.000 miliardi di lire.
Alla navigazione mercantile sono strettamente connesse le attività
di impresa di altri due settori che, da sempre, mantengono legami
profondi con l'industria armatoriale e ne rappresentano l'interfaccia
con le città costiere ed il loro "hinterland economico":
agenzie marittime e imprese portuali
Non è un caso se, dalle analisi del Censis, la branca dei
"servizi ausiliari dei trasporti", in cui entrambi i
settori si inseriscono, emerge come quella da cui in maggior misura
le imprese di trasporto marittimo effettuano acquisti, per un
ammontare complessivo che rappresenta ben il 36% dei 13.000 miliardi
spesi dalla navigazione nelle altre branche dell'economia.
L'agenzia marittima rappresenta tradizionalmente, ad un tempo,
il maggior fornitore ed il maggior cliente dell'impresa di navigazione,
sulla base di un rapporto fiduciario con l'armatore che fa dell'agente
e del mediatore marittimo figure strategiche nel sistema dei
trasporti via mare, quali essenziali anelli di collegamento tra
la nave, il suo carico e i porti di scalo.
La figura del terminalista portuale rappresenta invece una novità
nel panorama dell'industria marittima, la cui affermazione è
stata resa possibile dal processo di riforma degli ordinamenti
portuali, risultato -ancora da consolidare- di una lunga battaglia
che ha accomunato tutte le imprese utenti dei porti italiani,
armatori e agenti marittimi in testa.
Fino a pochi anni fa, infatti, la portualità italiana è
stata sinonimo di inefficienza, frutto di una sclerosi del suo
assetto pubblicistico e dell'arretratezza delle condizioni operative
che ne derivava. Questa situazione ha progressivamente allontanato
dai nostri scali i traffici internazionali, ha frenato lo sviluppo
delle imprese di navigazione, particolarmente nel settore dei
servizi di linea, ed ha precluso per molto tempo una efficace
evoluzione in senso multimodale del sistema nazionale dei trasporti,
che altrove era già stata realizzata con benefici di rilievo
per la competitività complessiva dell'intero sistema produttivo.
Con la privatizzazione delle banchine c'è stata una grande
svolta nella produttività e nell'immagine internazionale
della portualità italiana.
Il porto è tornato ad essere un fattore di sviluppo per
la navigazione mercantile e ciò significa non soltanto
crescita economica per le nostre città portuali ma una
più elevata capacità di penetrazione del nostro
sistema industriale nei mercati mondiali.
Se la quota più consistente dell'economia del mare ruota,
come abbiamo visto, attorno al trasporto marittimo, sarebbe un
errore trascurare che la navigazione come attività d'impresa
non si esaurisce in quella con finalità mercantile, ma
che un peso molto significativo, come dimensioni produttive e
come ruolo sociale, ha in Italia la navigazione finalizzata alla
pesca .
In proposito il Rapporto della Federazione del Mare e del Censis
fornisce elementi di grande interesse, situando la pesca al secondo
posto tra le attività marittime come valore della produzione
(ben 9.000 miliardi nella stima al 1994) ed al primo posto come
occupazione diretta con 36.000 addetti.
Risultati particolarmente significativi se si considera che si
tratta di una attività del tutto peculiare che, come nessun
altro, deve fare i conti con il problema ambientale e della disponibilità
delle risorse. Essa infatti non può crescere se non in
modo correlato alla disponibilità di risorse ittiche e
queste dipendono da eventi che sfuggono in larga parte al controllo
delle imprese, con tutte le difficoltà che ne conseguono
in termini di stabilità delle prospettive e di programmazione
aziendale.
La ridotta pescosità lungo le nostre coste ci obbliga ad
emigrare verso altri lidi con problemi e sacrifici rilevanti.
Concludendo: da armatore, quindi anzitutto da uomo innamorato
del mare, tanto da averne voluto fare il centro della mia vita
di imprenditore, voglio testimoniare oggi la soddisfazione di
chi vede condiviso il suo entusiasmo, compreso il significato
economico e sociale delle attività marittime, apprezzata
la loro rilevanza civile per l'intera collettività nazionale.