 La Filt Cgil ha espresso preoccupazione la sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - sezione staccata
di Salerno che è stata pubblicata ieri e che ha accolto il
ricorso proposto dalla compagnia di navigazione Cartour (Caronte &
Tourist) contro l'Autorità di Sistema Portuale del Mar
Tirreno Centrale e nei confronti della società terminalista
Salerno Container Terminal per l'annullamento del provvedimento
dell'ente portuale del 27 gennaio 2025 di diniego di autorizzazione
allo svolgimento delle operazioni portuali di rizzaggio e
derizzaggio nel porto di Salerno a bordo della nave Cartour Delta
appartenente alla Cartour che la impiega sulla rotta tra il porto di
Messina e quello di Salerno per il trasporto di passeggeri e
veicoli.
Nella sentenza il Tar ricorda che il diniego espresso dall'AdSP
«è motivato con il richiamo, innanzitutto, a un
precedente provvedimento negativo del luglio 2022, riferito alla
richiesta di autorizzazione ex articolo 16 della legge 84 del 1994
per lo svolgimento di operazioni portuali in regime di
autoproduzione, provvedimento la cui legittimità è
stata confermata dal Tar di Salerno, terza Sezione, con la sentenza
numero 676 del 2024» e che l'Autorità portuale «osserva
che l'istanza in esame non ha più ad oggetto attività
in regime di autoproduzione, bensì l'autorizzazione allo
svolgimento delle operazioni portuali. L'impresa interessata, non
essendo in grado di svolgere l'intero ciclo di attività
portuali, si limiterebbe a chiedere l'autorizzazione allo
svolgimento delle attività di rizzaggio e derizzaggio,
affidando ad altra impresa i restanti segmenti del ciclo portuale,
comprendente carico, scarico e movimentazione delle merci. Tale
segmento di attività non sarebbe svolto da un'impresa
strutturata nel porto di Salerno ma, prevalentemente, con personale
di bordo, tranne che per l'ipotizzata assunzione di due dipendenti a
tempo parziale. L'impresa non avrebbe dimostrato l'esclusività
di impiego del personale e non potrebbe essere autorizzata come
impresa portuale senza disporre di un personale organico ed
esclusivo, dedicato alle attività nel porto di riferimento.
L'istanza non sarebbe conforme neppure al contratto collettivo
nazionale di lavoro dei marittimi che riserva le operazioni di
rizzaggio e derizzaggio in via prioritaria a personale di terra
specializzato. L'intenzione della società interessata di
affidare ad altra impresa la quasi totalità del ciclo delle
operazioni portuali non sarebbe conforme al paradigma delle
operazioni portuali e non consentirebbe di configurare una impresa
portuale, essendo riconosciuta tale possibilità ai
concessionari, ex articolo 18 della legge 84 del 1994, limitatamente
ad attività complementari rispetto a quelle oggetto della
concessione. Inoltre, nel programma operativo, non sarebbero
specificati gli investimenti finalizzati all'incremento dei
traffici, nonché alla tutela dell'ambiente e della sicurezza.
In sostanza, ad avviso dell'Autorità, l'istanza, pur essendo
formulata sotto la forma di istanza di autorizzazione allo
svolgimento delle operazioni portuali ai sensi dell'articolo 16,
comma 3, della legge 84 del 1994, sarebbe sostanzialmente
riconducibile a una reiterata istanza di autorizzazione
all'autoproduzione, di cui all'articolo 16, comma 4 bis, della legge
84 del 1994, già presentata e respinta con provvedimento
confermato in sede giurisdizionale dal Tar di Salerno».
«Con il primo motivo - prosegue la sentenza - parte
ricorrente deduce la illegittimità del provvedimento
impugnato per violazione dell'articolo 16 della legge 84 del 1994.
Ad avviso della ricorrente, l'articolo 16, comma 3, della legge
richiamata non presuppone necessariamente che l'impresa autorizzata
allo svolgimento delle operazioni portuali debba svolgere l'intero
ciclo operativo di tali operazioni. Da questo errato presupposto
deriverebbero le considerazioni sulla assenza di una impresa
strutturata nel porto di Salerno. Ma se la legge avesse voluto
escludere la possibilità di autorizzare solo un segmento
delle attività portuali, lo avrebbe fatto espressamente. Tale
limitazione non sarebbe desumibile neppure dall'articolo 5 e
dall'articolo 8 del regolamento approvato con ordinanza numero 1 del
2019. In ogni caso, andrebbe privilegiata l'interpretazione della
legge conforme al quadro normativo di diritto europeo che non
tollera l'esistenza di diritti di esclusiva nella prestazione delle
operazioni portuali. Neppure sarebbe rilevante il richiamo
all'articolo 18 della legge numero 84 del 1994, che disciplina le
attività dei concessionari di terminal portuali, limitando la
possibilità per questi soggetti di affidare ad altre imprese
parte delle attività oggetto della concessione. L'assenza nel
piano operativo presentato di investimenti diversi dall'assunzione
di due dipendenti aggiuntivi sarebbe spiegabile con l'assenza di
incrementi dei traffici commerciali, trattandosi di operazioni
svolte esclusivamente in conto proprio, dall'impresa sulla propria
nave. Le misure di sicurezza e la capacità tecnica sarebbero
comunque state debitamente comprovate dall'allegazione di 18
documenti, il cui contenuto non è stato in alcun modo
contestato dall'Autorità portuale».
Il collegio giudicante ritiene che «il primo motivo di
impugnazione è fondato. Si deve premettere, in linea di
principio - spiega la sentenza - che la giurisprudenza
amministrativa è orientata nel senso che l'imposizione di un
regime autorizzativo per l'esercizio dell'attività di
operazioni portuali, quali quelle regolate dall'art. 16 della legge
n. 84 del 1994, risponde alle condizioni indicate dalla Corte di
Giustizia, secondo cui la libera prestazione dei servizi, principio
fondamentale del Trattato, può essere limitata solo da norme
giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico, che si
applichino ad ogni persona o imprese operante nel territorio dello
Stato, che rispettino il principio di proporzionalità -
secondo cui i sacrifici imposti non possono andare oltre quanto
necessario per il raggiungimento dello scopo da garantire -e che
stabiliscano criteri oggettivi, non discriminatori e conosciuti in
anticipo dalle imprese interessate (Cons. Stato, Sez. IV,
20/12/2013, n. 6171). Si deve ricordare, infatti, che la legge 28
gennaio 1994, numero 84, recante il riordino della legislazione in
materia portuale, è stata adottata in seguito alla sentenza
della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 10 dicembre 1991,
C179-90, porto di Genova, laddove la Corte europea ha affermato la
incompatibilità con il Trattato della normativa di uno Stato
membro che conferisca ad un'impresa stabilita in questo Stato il
diritto esclusivo di esercizio delle operazioni portuali e le
imponga di servirsi, per l'esecuzione di dette operazioni, di una
compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali.
Il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia
dell'Unione Europea impedisce, dunque, la imposizione a una
qualsiasi impresa del settore marittimo dell'obbligo di servirsi,
per l'esecuzione delle operazioni portuali, di maestranze
esclusivamente locali. In linea di principio, dunque, un'impresa di
trasporto marittimo dovrebbe essere autorizzata, in mancanza di
ragioni prevalenti di interesse pubblico, a svolgere tali operazioni
mediante maestranze proprie. Coerentemente, l'articolo 16, comma 3,
della legge numero 84 del 1994, subordina l'esercizio delle
operazioni portuali, anche per conto proprio, oltre che per conto di
terzi, al rilascio di una specifica autorizzazione da parte
dell'Autorità di Sistema Portuale. L'autorizzazione
presuppone la verifica del possesso dei requisiti di cui al comma 4
dello stesso articolo 16. Al fine del rilascio dell'autorizzazione
di cui al comma 3, l'articolo 16 della legge, al comma 4, demanda al
Ministero dei Trasporti la determinazione, con proprio decreto, dei
requisiti di carattere personale e tecnico-organizzativo, di
capacità finanziaria, di professionalità adeguati alle
attività da espletare, tra i quali la presentazione di un
programma operativo e la determinazione di un organico di
lavoratori. Il regolamento per la disciplina del rilascio, della
sospensione e della revoca delle autorizzazioni per l'esercizio di
attività portuali è stato adottato con decreto
ministeriale dei trasporti e della navigazione numero 585 del 31
marzo 1995. Il regolamento, all'articolo 3, stabilisce i requisiti
per il rilascio dell'autorizzazione, facendo riferimento
all'idoneità personale e professionale, all'iscrizione, in
caso di società, nel registro delle società presso il
tribunale civile, alla capacità tecnica, alla capacità
organizzativa, alla capacità finanziaria, alla presentazione
di un programma operativo, all'organigramma dei dipendenti e alla
presentazione di un contratto assicurativo per la garanzia da
eventuali danni. In nessuna disposizione del regolamento - evidenzia
la sentenza - è stabilito che l'autorizzazione debba essere
rilasciata esclusivamente per lo svolgimento dell'intero ciclo delle
attività portuali. Si ritiene, dunque, che nella legge e nel
regolamento non siano state introdotte norme ostative alla
possibilità di autorizzare lo svolgimento anche di una sola
parte del ciclo complessivo delle attività portuali. Neppure
l'articolo 5 del regolamento per la disciplina delle operazioni di
servizi portuali, adottato con ordinanza dell'Autorità di
Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale numero 1 del 2019, si pone
espressamente in contrasto con l'interpretazione qui sostenuta,
laddove si limita a definire l'oggetto dell'autorizzazione per conto
proprio come autorizzazione che consente all'impresa di svolgere
abitualmente le operazioni portuali relative alle merci di cui essa
dispone o è destinataria, in tal modo non escludendo che tale
autorizzazione possa avere ad oggetto soltanto una parte delle
attività relative a tali merci».
«Diversamente - prosegue il pronunciamento del Tar - è
disciplinata l'attività delle imprese concessionarie
dall'articolo 18 della legge numero 84 del 1994, ma tale diversa
disciplina si spiega con la ragione che il concessionario,
selezionato per lo svolgimento dell'intero ciclo delle operazioni e
dei servizi portuali strumentali alla concessione di una porzione
del porto, deve occuparsi prevalentemente e direttamente di tali
operazioni, salvo ricorrere ad altra impresa in casi eccezionali.
Ancora diversa è la disciplina dell'autorizzazione a svolgere
le operazioni portuali in regime di autoproduzione, recata dal comma
4 bis dell'articolo 16 della legge 84 del 1994. A prescindere dai
rilievi mossi dall'Autorità per la Garanzia della Concorrenza
e del Mercato a tale disciplina, si deve rilevare che la pronuncia
della terza Sezione del Tar di Salerno, resa con riferimento ad una
istanza di autorizzazione all'autoproduzione precedentemente
presentata dalla ricorrente, non è rilevante nella
fattispecie in esame, trattandosi in questa sede di domanda di
autorizzazione presentata ai sensi del comma 3 dell'articolo 16
della legge 84 del 1994. L'interpretazione qui ritenuta corretta
risulta coerente con i principi più volte affermati dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sentenza numero 6523 del
2024) tendenti a limitare posizioni dominanti o diritti esclusivi
per operazioni portuali, riconoscendo la possibilità alle
singole imprese di effettuare le operazioni portuali in regime di
autoproduzione. La Corte europea ha chiarito che l'imposizione di un
regime autorizzativo per l'esercizio dell'attività di
operazioni portuali, quali quelle regolate dall'art. 16 della legge
n. 84 del 1994, risponde alle condizioni indicate dalla stessa Corte
di Giustizia, secondo cui la libera prestazione dei servizi,
principio fondamentale del Trattato, può essere limitata solo
da norme giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico.
Nel caso di specie, non è ravvisabile un interesse pubblico
che possa giustificare la esclusione della possibilità di
autorizzare una impresa a svolgere per conto proprio soltanto una
parte delle attività comprese nel ciclo delle attività
portuali, qualora tale impresa sia in possesso dei requisiti
tecnici, operativi e finanziari per lo svolgimento del solo segmento
del ciclo delle attività portuali di proprio interesse. Ne
deriva - spiegano i magistrati del Tar - che il provvedimento
impugnato è viziato dall'errato presupposto per cui
l'autorizzazione di cui al comma 3 del ripetuto articolo 16 può
essere rilasciata soltanto per lo svolgimento dell'intero ciclo
delle operazioni portuali. Di conseguenza sono viziate, per
illegittimità derivata da tale presupposto errato, le
ulteriori considerazioni contenute nel provvedimento impugnato,
sulla insufficienza dell'organico, sulle asserite carenze nel piano
operativo degli investimenti, sulla mancanza di impresa strutturata
nel porto. Infine, è appena il caso di rilevare che il
contratto collettivo nazionale di lavoro marittimo, non avendo
valore normativo, non può porsi in contrasto con
l'interpretazione della legge ritenuta corretta».
«Il secondo motivo di impugnazione, con cui parte
ricorrente, in via subordinata, deduce il contrasto della norma
nazionale con il diritto dell'Unione Europea, per l'ipotesi in cui
l'articolo 16, comma 3, della legge numero 84 del 1994 debba essere
interpretato nel senso sostenuto dall'Autorità resistente -
conclude la sentenza - è assorbito dall'accertamento della
fondatezza del primo motivo. Il ricorso, in conclusione, deve essere
accolto, con l'annullamento del provvedimento impugnato».
Commentando la sentenza, la Filt Cgil nazionale e la Filt Cgil
Campania hanno manifestato sorpresa e preoccupazione per «un
simile cambio di orientamento da parte del Tar, soprattutto alla
luce delle numerose pronunce precedenti, sia a Salerno che a Napoli,
che hanno costantemente respinto la possibilità
dell'autoproduzione portuale, in assenza dei rigidi presupposti
previsti dalla legge 84/94. Queste decisioni - rilevano le due
organizzazioni sindacali - appaiono ancor più incomprensibili
alla luce dell'entrata in vigore del decreto legislativo 199/2023,
cosiddetto decreto Gariglio, che è intervenuto proprio per
chiarire, normare e restringere il ricorso all'autoproduzione nei
porti, solo in presenza di specifici requisiti, tra cui
l'impossibilità di affidare le operazioni portuali ad imprese
portuali o a fornitore di manodopera temporanea ex articolo 17,
legge 84/94, peraltro in coerenza con le normative comunitarie e
internazionali».
«Siamo certi - proseguono la Filt Cgil nazionale e della
Campania - che l'Autorità di Sistema Portuale interessata
procederà ad impugnare la sentenza del Tar Salerno, a difesa
della legittimità dei propri atti, della trasparenza
amministrativa, della corretta gestione del sistema portuale e del
suo equilibrio complessivo, sempre più esposto a rischi di
dumping sociale, concorrenza sleale e compressione dei diritti dei
lavoratori. Siamo pronti a intervenire a supporto nell'eventuale
giudizio di impugnazione, al fianco dell'Autorità di Sistema
Portuale, per tutelare il principio di legalità, la sicurezza
nei luoghi di lavoro e la dignità del lavoro portuale. È
necessario ribadire con forza che qualsiasi attività portuale
debba avvenire nel pieno rispetto della normativa vigente, a tutela
non solo della concorrenza leale tra imprese, ma soprattutto della
sicurezza e delle condizioni di lavoro del personale coinvolto.
L'autoproduzione, infatti, alimenta una pericolosa spirale al
ribasso delle tutele, degli standard retributivi e delle condizioni
di salute e sicurezza dei lavoratori portuali e marittimi».
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