
Il valore degli investimenti necessari per adeguare i porti
mondiali alle nuove sfide è compreso tra 223 e 768 miliardi
di dollari solamente per l'adeguamento degli scali portuali
all'innalzamento del livello dei mari dovuto agli effetti del
cambiamento climatico. Lo stima l'istituto bancario americano
JPMorgan Chase & Co. che rileva come i porti, con un commercio
marittimo che è destinato a raddoppiare entro il 2050,
dovranno espandersi e migliorare l'efficienza per gestire volumi di
traffico crescenti e mitigare i rischi sia per le infrastrutture che
per la stabilità economica legati al clima.
L'analisi, a firma di Sarah B. Kapnick, responsabile Climate
Advisory di J.P. Morgan, evidenzia che i porti devono affrontare
anche le sfide della decarbonizzazione, delle incertezze
geopolitiche e dell'apertura di nuove rotte commerciali artiche. Il
documento spiega che i porti sono esposti, tra l'altro, a diversi
rischi derivanti da fenomeni naturali, alcuni con un'elevata
probabilità di verificarsi annualmente come gli uragani, i
tifoni, le alluvioni e la siccità e altri con bassa
probabilità come i terremoti. Per questi rischi naturali il
valore medio del loro impatto è stimato in circa 7,6 miliardi
di dollari all'anno e compreso fra 4,0 e 17,4 miliardi di dollari,
cifre che si riferiscono ai danni alle infrastrutture portuali, si
basano su dati storici e non tengono conto del valore delle merci
che potrebbero essere danneggiate, dalle perdite dovute
all'interruzione degli scambi commerciali o a cambiamenti climatici.
Relativamente all'impatto sulle infrastrutture portuali
dell'innalzamento del livello dei mari dovuto al cambiamento
climatico, il documento ricorda che si prevede che tale innalzamento
sarà sino a 40 centimetri tra il 2020 e il 2050 in tutto il
mondo rispetto ad un aumento di 20 centimetri verificatosi dal XIX
secolo ad oggi e che per il 2100 si prevede un innalzamento del
livello del mare fino a 2-7 metri in caso di accelerazione dello
scioglimento dei ghiacciai.
L'analisi prende in esame anche la pianificazione adottata dai
porti per mitigare l'impatto del cambiamento climatico sulle loro
infrastrutture, con attualmente l'89% dei porti mondiali più
grandi (31 su 35) che sta sviluppando piani specifici e con il 66%
di questi (23 su 35) che sta sviluppando piani per l'adattamento al
cambiamento climatico. Il documento rileva che, essendo grandi
infrastrutture, i porti hanno una fase di pianificazione e sviluppo
pluriennale, pari a circa un decennio, prima di una vita utile
pluridecennale dell'effetto delle misure previste dal piano (oltre
50 anni). Pertanto, un porto che inizia oggi le fasi di
pianificazione avrà implementato tutte le misure previste dal
piano a metà degli anni '30 e sarà pienamente
operativo fino al 2070 od oltre. L'analisi osserva che, date queste
scale temporali, l'innalzamento del livello del mare e i cambiamenti
dovuti ad eventi meteorologici e climatici estremi sono inevitabili
e richiedono sempre più una pianificazione adeguata man mano
che i loro impatti si concretizzano.
Il documento prende brevemente in esame anche il processo di
decarbonizzazione delle attività economiche e sociali che
riguarda anche i porti che, in questo ambito, attualmente puntano
principalmente sull'elettrificazione delle infrastrutture portuali e
sulla fornitura di nuovi combustibili ecologici alle navi.