ASSEMBLEA ANNUALE DELLA
CONFEDERAZIONE ITALIANA ARMATORI
Roma, 7 - 8 maggio 1997
Intervento del Presidente uscente, Aldo Grimaldi
Signor Ministro, onorevoli Parlamentari, Signor Presidente di
Confindustria, Signore, Colleghi, Amici,
ringrazio tutti voi per una presenza così consistente e
qualificata che fa onore alla nostra Confederazione Armatori.
E' questa un'assemblea particolarmente importante che vede l'avvicendamento
alla Presidenza ed il rinnovo di tutte le nostre cariche istituzionali.
Desidero portare a Vostra conoscenza che ieri abbiamo avuto la
nostra Assemblea interna ed è stato eletto all'unanimità
il nostro amico e collega Paolo Clerici.
Un particolare grazie al Ministro Burlando per la sensibilità
dimostrata per i problemi dei trasporti e la sua ricerca continua
per portarli a soluzione.
Gentilmente il Ministro mi ha consegnato un disegno di legge per
il Registro internazionale che deve ora seguire l'iter parlamentare.
Aveva fatto all'inizio dell'anno la sua promessa e l'ha mantenuta
e questo è importante perché molto spesso le parole
si dicono ma i fatti poi non arrivano. Invece, in questo caso,
c'è stata una conferma e questo fa piacere a tutti noi.
Un grazie al Presidente Fossa per la sua instancabile opera intesa
a tutelare i giusti interessi di tutta la classe imprenditoriale
che sono poi gli interessi stessi del nostro Paese.
Un grazie di cuore ai miei colleghi armatori per la stima e la
fiducia nei miei confronti per avermi voluto al vertice del sistema
confederale.
SCENARIO MONDIALE
Il mondo industrializzato non ha brillato nel 1996, ma al contrario
ha evidenziato una riduzione generalizzata del prodotto interno
lordo.
La crescita del commercio mondiale nel 1996 è stata del
4% contro quella dell'8% del 1995. Questa frenata è stata
causata soprattutto dai paesi dell'Estremo Oriente.
Solo gli Stati Uniti hanno dimostrato una resistenza di fondo
con una ininterrotta crescita che dura ormai da ben dieci anni.
Il prodotto interno lordo nel 1996 è aumentato del 2.44%
e la disoccupazione è scesa molto prossima al 5%, livello
tra i più bassi di questi ultimi decenni.
Ciò è la risultanza di una grossa flessibilità
del sistema del lavoro che non trova purtroppo riscontro negli
altri paesi industrializzati.
Questo ritmo continuo di crescita può innescare alla lunga
un processo inflattivo con la conseguente necessità di
una stretta finanziaria.
I mercati così sensibili ai fondamentali economici l'avvertono
in anticipo e la conseguente discesa di Wall Street ne è
la conferma.
SCENARIO EUROPA
L'Europa ed in particolare i paesi dell'Unione Europea sono tormentati
dal raggiungimento dei parametri di Maastricht. Si tratta di una
vera e propria corsa a ostacoli di tutti i paesi per raggiungere
i parametri fissati e poter entrare di diritto per primi a gennaio
del 1999 nell'Unione Monetaria Europea.
Le misure adottate sono talvolta brutali, perché incidono
profondamente in senso negativo nel tessuto economico delle famiglie,
mettendone a dura prova la stessa sopravvivenza.
Basti dire che il Paese più diligente, la Germania, che
una volta aveva carenza di mano d'opera, ha adesso un tasso di
disoccupazione superiore al 12%. Inoltre, sia la Germania che
la Francia hanno un disavanzo superiore al 3% del PIL.
Costi quello che costi si pretende il rispetto di termini fissati
molti anni addietro, senza voler tenere conto di un nuovo e diverso
quadro di riferimento.
I parametri di Maastricht sono intoccabili, d'accordo, perché
diversamente vi sarebbero partners in posizione disuguale: ma
chi e che cosa vieta il rinvio di un anno dell'Unione Monetaria
Europea e cioè al gennaio 2000, alle soglie del terzo millennio!
Saremmo tutti più robusti, con la quasi certezza di rendere
meno difficile il percorso dei partners negli anni successivi.
Questo è il pensiero di molti economisti, che condivido
pienamente.
SCENARIO ITALIANO
Maastricht ed i suoi parametri sono diventati per l'Italia una
vera ossessione. Il giusto desiderio di poter entrare con i primi
nel sistema monetario europeo, e quindi con i paesi più
forti come Germania e Francia, ci sta portando ad un livello di
parossismo collettivo.
Tutti i nostri atteggiamenti, tutte le nostre azioni, tutte le
nostre misure economiche sono mirate a questo scopo. La nostra
economia è però più fragile di quella della
Germania e della Francia, e quindi le misure da prendere per il
nostro Paese sono ancora più drastiche.
Basta una qualsiasi affermazione anche solo di un funzionario
della Bundesbank o di un ministro tedesco per destabilizzare la
moneta.
La tassazione è salita ad un livello insopportabile. La
disoccupazione in alcune aree dell'Italia non si discosta da quella
dei paesi del terzo mondo.
Abbiamo punte nel Sud che superano il 20% e una disoccupazione
giovanile che rasenta in alcune zone il 50%. Quindi, su due giovani
uno lavora e l'altro cerca lavoro, il che è molto grave.
Infatti, i provvedimenti del Governo si sono per ora diretti soprattutto
a misure tampone ed all'incremento del prelievo fiscale.
Conseguentemente l'incremento del PIL è sceso allo 0.77%:
valore più basso di tutti i paesi dell'Unione Europea.
Il Governo si accinge ora a mettere mano a riforme strutturali,
che avranno riflessi duraturi nel tempo, toccando anche lo stato
sociale in maniera corretta (come tutti noi vogliamo), eliminando
anche le incongruenze del passato sulle pensioni di anzianità,
proprio per una maggiore giustizia sociale e per difendere i salari
dei giovani di domani.
Il Governo dovrà anche preoccuparsi di contenere la spesa
pubblica e di aumentare la produttività delle Aziende.
Dovrà perciò privatizzare - privatizzare - privatizzare-
non ponendo paletti con la Golden share o cedendo partecipazioni
di minoranza, perché sarebbe questa una vera e propria
finzione. Il privato dovrà essere libero di gestire l'azienda
al maglio: le uniche condizioni saranno costituite dalle leggi
del libero mercato.
Il sistema bancario una volta liberatosi dal pesante fardello
che l'affligge riportandosi a livelli di grande efficienza, dovrà
aiutare le aziende a crescere mettendo a disposizione prodotti
finanziari a condizioni competitive con quelle degli altri paesi
dell'Unione Europea.
Il Governo deve incentivare gli investimenti anziché penalizzare
il mondo produttivo, perché solo così il nostro
Paese potrà crescere e si potrà contenere il grave
problema della disoccupazione, generando altresì una spirale
virtuosa che vedrà aumentare l'esercito dei contribuenti
riducendo quello degli assistiti.
Amiamo profondamente questo nostro Paese e ci auguriamo perciò
che il Governo e le forze parlamentari e sociali agiscano rapidamente
e nella giusta direzione.
I MERCATI MARITTIMI MONDIALI
L'interscambio marittimo di merci ha visto nel 1996, un'espansione
del 2,2%, raggiungendo i 4.790 milioni di tonnellate. Si tratta
di un ritmo di crescita dimezzato rispetto all'anno precedente.
Inoltre, la riduzione della distanza media percorsa in navigazione
dai carichi petroliferi ha fatto sì che la domanda di servizi
di trasporto marittimo, espressa dal prodotto tra le tonnellate
trasportate e le miglia percorse, sia cresciuto soltanto dell'1%.
Sul piano politico internazionale l'anno passato è fortunatamente
risultato piuttosto tranquillo, con uno sforzo generale per mantenere
sotto controllo i conflitti regionali.
L'andamento dei traffici marittimi, così, ha finito per
risultare influenzato soprattutto dalla situazione climatica.
Un inizio di anno particolarmente rigido nell'emisfero settentrionale
ha stimolato i consumi petroliferi e la domanda di navi cisterna;
contemporaneamente però, a causa del rallentamento dell'attività
edilizia e della connessa richiesta di acciaio, nonché
del peggioramento dei raccolti di granaglie, ciò ha penalizzato
il trasporto di carichi secchi.
D'altra parte, il tasso di crescita della produzione industriale
nei paesi OCSE ha rallentato in modo significativo: dal 3,3% del
1995 all'1,7% del 1996, con flessioni disuguali: lieve negli Stati
Uniti (dal 3,3 al 3,1%), più significativa in Giappone
(dal 3,5 al 2,2%), molto pronunciata in Europa (dal 3,6 al 0,6%).
Il rallentamento generale dell'economia mondiale ha avuto riflessi
sul trasporto marittimo, non solo di materie prime ma anche di
carichi generali, per i quali si sono registrati tassi si sviluppo
inferiori al più recente passato.
Il risultato di questi andamenti della domanda, accoppiati ad
una nuova crescita della flotta mondiale , che ha raggiunto i
712 milioni di tonnellate di portata, ha determinato un andamento
dei noli marittimi molto disuguale, con incrementi del 15-25%
per le navi-cisterna adibite al trasporto del greggio, e riduzioni
del 33% in media d'anno per le bulk-carrier, nonostante una inversione
di tendenza a fine periodo abbia riportato gli indici per questi
noli ad un livello inferiore solo dell'8% al corrispondente livello
di fine anno 1995.
Anche le navi porta-container hanno visto ridursi le rate di nolo
in maniera rilevante.
Il 1996 è stato invece un anno sicuramente molto positivo
per la navigazione di crociera, grazie alla crescita costante
dei nuovi mercati in Europa e Asia ed una ripresa, con tassi pari
al 7% del fondamentale mercato nordamericano. dove sono concentrati
ben 4,6 dei 6 milioni di croceristi.
LA MARINA MERCANTILE ITALIANA
In questo quadro generale, la marina mercantile italiana ha sostanzialmente
mantenuto le sue posizioni sui mercati internazionali.
Le dimensioni complessive della flotta hanno visto una buona tenuta
in termini di tonnellaggio ed un lieve calo in termini di numeri
di unità; al 31 dicembre 1996, la navi di proprietà
italiana superiori alle 100 t.s.l. ammontavano a 1400, per un
tonnellaggio di stazza lorda, pari a 8,8 milioni di tonnellate.
Va sottolineato che la tenuta della nostra flotta è stata
resa possibile dall'ampliato ricorso al regime delle navi a scafo
nudo all'estero: una forma limitata e temporanea di gestione internazionalizzata,
la cui applicazione è concertata con le Organizzazioni
Sindacali ed ha consentito negli ultimi anni di mantenere entro
l'ordinamento italiano la componente di naviglio più esposta
alla concorrenza internazionale. Alla fine del 1996 navigavano
sotto questo regime 93 navi italiane per circa 2,2 milioni di
tonnellate cioè un quarto del tonnellaggio nazionale: una
quota ancora molto lontana dalla media dei paesi industrializzati,
che gestiscono sotto regime internazionale oltre la metà
del loro naviglio, con punte che raggiungono e superano l'80%.
Questo in buona parte spiega perché ci poniamo oggi al
sedicesimo posto tra le flotte del mondo ed al sesto posto tra
quelle d'Europa: una posizione del tutto inadeguata alle dimensioni
della nostra economia e del nostro commercio internazionale.
L'Italia occupa tuttavia il terzo posto tra le flotte del mondo
quanto a navi passeggeri, ed in proposito ho già avuto
modo di osservare come i grandi successi della nostra eccellente
cantieristica in questo particolare settore dipendono forse anche
dal dinamismo e dalla capacità di investimento degli armatori
italiani.
Del resto, anche se sottodimensionata rispetto al rango dell'Italia
come potenza commerciale, la nostra flotta si distingue per la
dotazione di naviglio giovane e tecnologicamente avanzato. Il
54% del nostro naviglio ha un'età inferiore ai 10 anni;
il 39% è entrato in servizio dopo il 1990: si tratta di
ben 440 navi di diversa tipologia consegnate negli ultimi anni.
Per altre 95 unità i lavori risultano già avviati.
L'impegno finanziario complessivo è stato finora di oltre
8.500 miliardi; investimenti per altri 7.500 miliardi sono in
via di realizzazione entro il 2000.
Non ci dimentichiamo, a questo riguardo, che nell'ordine delle
commesse alla cantieristica europea, l'Italia è molto vicina
alla Germania e con circa 2, 5 milioni di tonnellate si pone
al quinto posto tra i principali costruttori mondiali dopo i tre
paesi dell'Estremo Oriente.
UNA NUOVA POLITICA MARINARA
Un intervento di fine mandato non può che essere, insieme,
bilancio delle questioni risolte o avviate a soluzione e indicazione
delle questioni ancora aperte.
Se un risultato è stato ottenuto, se un cambiamento si
nota nel panorama della politica marittima nazionale, di cui per
anni abbiamo lamentato la frammentarietà, quando non l'inconsistenza,
è la progressiva presa di coscienza di quanto conti per
l'Italia la navigazione mercantile, di come essa costituisca una
grande opportunità di sviluppo per la nazione.
Certo: era noto tra gli addetti ai lavori -ma restava ignoto ai
più- che la navigazione serve circa i due terzi del nostri
interscambio con l'estero, assicurando pressoche totalmente l'approvvigionamento
della nostra industria manifatturiera e portandone nel mondo oltre
la metà della produzione; che nel trasporto cabotiero nazionale
la navigazione, pur coprendo solo un quinto del mercato, rappresenta
tuttavia il secondo sistema di trasporto delle merci, secondo
soltanto alla strada; che gli introiti valutari della navigazione
marittima già oggi consentono all'Italia, nonostante la
ridotta competitività internazionale del nostro ordinamento
marittimo, di dimezzare il forte fabbisogno di valuta per servizi
di trasporto, determinato dalla necessità della nostra
economia di approvvigionarsi di materie prime all'estero.
Oggi questa realtà inizia ad essere più chiaramente
percepita da tutti, anche grazie all'iniziativa -nata soprattutto
sotto la spinta dell'Armamento- di definire con precisione e autorevolezza
scientifica le dimensioni della navigazione marittima ed il suo
impatto economico e sociale.
Il rapporto che la Fondazione Censis ha elaborato nel corso del
1996 per incarico della Federazione del Mare presentato in novembre
al Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, ha valutato
che la produzione di servizi di navigazione mercantile abbia raggiunto
i 17.000 miliardi di lire e che, considerando altresì il
valore della produzione cantieristica e dei servizi ausiliari
-in primis servizi di terminal portuale e di agenzia e brokeraggio-
in totale la produzione di beni e servizi connessi alla navigazione
mercantile raggiunga il ragguardevole valore annuo di 25.000 miliardi
di lire: oltrepassi cioè il valore della produzione nazionale
di mezzi di trasporto. Sul piano dell'occupazione, gli addetti
all produzione di beni e servizi più direttamente legati
alla navigazione mercantile raggiungono le 80.000 unità
di cui 30.000 nell'industria armatoriale.
Se poi si allarga un po' il campo di osservazione e si considerano
anche le attività economiche legate alla navigazione peschereccia
e a quella sportiva e da diporto, il P.I.L. complessivo delle
attività di impresa marittima risulta pari ad oltre 42.000
miliardi di lire, con un'occupazione diretta di 120.000 addetti
ed una indiretta di oltre 190.000 unità.
Si tratta di cifre ragguardevoli, che devono farci pensare e pensare
profondamente a valorizzare questo nostro settore come immagine
nei confronti della gente, del pubblico, delle amministrazioni,
del potere politico e del Governo.
Da sottolineare, inoltre, come l'andamento della navigazione mercantile
si ripercuota con forte amplificazione sull'insieme dell' economia
nazione, con coefficienti moltiplicatori del prodotto lordo e
dell'occupazione che raggiungono rispettivamente i valori di 3,1
e 2,7.
Il significato di queste grandezze è che, per ogni miliardo
di lire in più derivante alla navigazione dall'immissione
in servizio di nuove navi, ovvero da incrementi di competitività
della flotta, che ne consolidano la posizione di mercato, in forza
nel meccanismo di trasferimento di tale variazione nei settori
economici a monte, si determina una crescita del reddito nazionale
di 3.1 miliardi di lire. Analogamente ogni mille posti di lavoro
recuperati nella flotta, se ne determinano nel complesso dell'economia
nazionale 2.700.
Come già ho avuto modo di sottolineare ciò significa
che, applicando il valore moltiplicatore del reddito all'ammontare
complessivo degli investimenti realizzati e avviati in questo
decennio, pari a 16.000 miliardi di lire, nell'arco degli anni
'90 l'Armamento avrà attivato risorse nel complesso dell'economia
nazionale per ben 50.000 miliardi di lire.
Il diffondersi di questa più chiara percezione del ruolo
della navigazione marittima e degli importanti riflessi che quest'attività
economica ha sulla vita economica nazionale -un obbiettivo perseguito
con tenacia dall'Armamento, a partire dalla presidenza d'Amico-
contribuisce a spiegare la maggiore attenzione che la Nazione,
attraverso le sue forze più rappresentative, sembra rivolgere,
da qualche tempo, a questo settore ed ai problemi del suo sviluppo.
E' degli inizi dell'anno corrente l'elaborazione, da parte di
Confindustria di un documento strategico sulla politica dei trasporti,
che pone in giusta evidenza il rilievo della navigazione marittima
e mette in risalto come questione nazionale la necessità
di assicurare alla nostra flotta condizioni operative che le consentano
di competere alla pari sui mercati internazionali.
Ha trovato piena rispondenza di interesse nel mondo bancario italiano
la proposta di organizzare incontri tra Armamento e sistema creditizio,
che consentano di mettere in evidenza le particolarità
operative e le problematiche tipiche dell'attività industriale
di esercizio della navigazione marittima, da un lato, e dell'attività
creditizia riferita alle imprese armatoriali, dall'altro, allo
scopo di rendere più agevoli e fruttuosi i rapporti tra
banche nazionali ed armatori, in vista della profonda evoluzione
che i due settori di impresa sono in procinto di affrontare sotto
la spinta della concorrenza internazionale.
E' di poche settimane fa l'approvazione da parte del Consiglio
dei Ministri del Disegno di Legge di riforma del nostro ordinamento
in materia di navigazione internazionale, proposto dal Ministro
dei trasporti e della navigazione Burlando.
Quest'ultimo avvenimento, in particolare, segna un profondo mutamento
nell'atteggiamento dello stato e delle forze politiche che costituiscono
l'attuale maggioranza.
Di fronte agli effetti dirompenti della globalizzazione sul mercato
dei servizi internazionali di navigazione ed alla conseguente
prospettiva di un progressivo ma rapido forzato trasferimento
delle navi italiane ad essi adibite verso ordinamenti più
favorevoli, che consentano di reggere le dure condizioni del trasporto
internazionale, non si è intervenuti con misure tampone,
ma si è scelto di incidere con misure profondamente riformatrici,
che adeguano la nostra legislazione a quella degli Stati europei
più evoluti in campo marittimo, raccogliendo così
la sfida di una concorrenza mondiale, che si gioca soprattutto
tra gli ordinamenti nazionali ed i relativi riflessi sui costi
d'impresa. Merito anche di un atteggiamento modernamente consapevole
delle Organizzazioni Sindacali, che hanno saputo accettare una
strategia di contenimento dei livelli di occupazione sul mare,
puntando piuttosto sullo sviluppo dell'occupazione indotta a terra,
nella produzione dei beni e dei servizi necessari al funzionamento
di una cospicua flotta internazionale, qual è quella che
la rinnovata politica della navigazione si propone come obiettivo.
La politica marittima dell'Italia vede quindi un nuovo avvio per
rilanciare la navigazione marittima in sintonia con le nuove strategie
che per il settore si vanno delineando in sede europea.
In questa ottica occorre però definire anche una nuova
linea strategica in materia di formazione e certificazione degli
equipaggi marittimi nazionali.
C'è urgente necessità di avviare un circolo virtuoso
di azioni non più prorogabili, ripensare gli schemi dell'organizzazione
del lavoro a bordo, conoscere con precisione i fabbisogni di figure
professionali, programmare gli interventi formativi; modernizzare
il sistema di certificazione nazionale.
Oggi la tecnologia corre, corre, corre. Mi è caro un pensiero:
io dico che la tecnologia cammina a 100 Km/h, la nostra gente
fa fatica a seguire e va a 50 Km/h. A noi spetta il dovere di
portare anche la nostra gente a pari velocità. Noi mettiamo
nelle mani della nostra gente dei capitali enormi, sono centinaia
di miliardi e quindi dobbiamo avere la tranquillità che
la gente sia valida professionalmente, sia efficiente, sia capace
e sia in grado, quindi, di gestire tutto in sostituzione dei nostri
Uffici Tecnici e dell'Armatore, perché quando sono in mare
la nave è affidata a loro e loro sono gli unici e diretti
responsabili.
Con una siffatta organizzazione del lavoro in mente ed in base
alle previsioni di crescita del tonnellaggio, resa possibile dalla
riforma della navigazione internazionale si dovranno stimare con
maggiore precisione i fabbisogni di figure professionali. Solo
con questa stima, infatti, la macchina della formazione della
gente di mare, mossa oggi da tanti congegni mal sincronizzati
tra loro, potrà essere dotata di un "motore"
affidabile, che assicuri costantemente prestazioni adeguate.
Infine, è richiesto uno sforzo eccezionale all'Amministrazione,
per modernizzare il nostro sistema di certificazione e qualificazione;
esso dovrà trovare collegamento con la realtà produttiva
e, soprattutto, con gli aggiornamenti alla convenzione internazionale
che stabilisce gli standard di riferimento.
Sul piano del sostegno agli investimenti, se è vero che
dalla riforma del regime della flotta potranno derivare, quale
risultato delle maggiori capacità competitive, più
ampi margini da destinare al loro finanziamento, occorrerà
anche porre mano agli attuali strumenti di agevolazione finanziaria,
poiché, rapportandosi a norme internazionali che risalgono
a ben 15 anni fa, risultano a questo punto palesemente inadeguati.
Non mancano del resto in Europa gli esempi di misure di natura
finanziaria e fiscale che possono agevolare l'investimento navale,
sia da parte delle imprese che del risparmiatore.
E' comunque da mantenere in sede comunitaria un quadro di sostegno
all'industria navalmeccanica degli Stati membri, che consenta
ad essi di intervenire a tutela della competitività dei
propri cantieri, di fronte alla mancata entrata in vigore delle
misure contro la concorrenza sleale previste dall'Accordo OCSE
del 1994, non ancora ratificato dagli Stati Uniti.
Non dimentichiamo che i paesi dell'Estremo Oriente monopolizzano
il 70% del potenziale della cantieristica mondiale.
L'impostazione di una nuova politica della navigazione non può,
poi, prescindere da una ridefinizione del ruolo dello Stato-armatore,
dando applicazione alle linee guida in materia di aiuti di Stato
alle imprese di navigazione che la Commissione Europea ha in corso
di elaborazione.
I nostri giusti e ripetuti interventi hanno fatto comprendere
ai responsabili quanto assurda fosse la contrapposizione tra armamento
pubblico e privato e quanto poco strategica fosse la sua presenza
sul mercato. Vi è stata così una prima cessione
delle navi nel settore di massa del carico secco e liquido e ci
auguriamo che al più presto si faccia altrettanto nel settore
di linea in armonia con quanto previsto dallo stesso piano di
riordino Finmare.
Oggi tutti concordano sul rilancio del mercato, ma è vano
sperare nel mercato senza quella imprenditorialità, quello
spirito di sacrificio che permisero la ricostruzione del nostro
Paese e poi del miracolo economico.
Libero mercato non significa facili guadagni, bensì una
dura competizione, una ardua lotta, per la quale si richiede una
mentalità ben diversa da quella dello Stato assistenziale.
Per quanto concerne il cabotaggio riconosciamo al servizio pubblico
una valenza sociale, ma soltanto parziale e per alcuni specifici
servizi. Questi dovranno essere assegnati dallo Stato a chi, sia
pubblico o privato, garantirà di poterli gestire in maniera
appropriata ed a costi inferiori per la comunità.
Sono soldi di tutti noi e quindi come tali debbono essere ben
utilizzati.
Vi sono poi servizi che non hanno alcuna valenza sociale e che
vengono saggiamente ed efficientemente gestiti dai privati senza
alcuna sovvenzione dello Stato.
In questi casi il pubblico ha una ben chiara alternativa: abbandonare
il servizio o mantenerlo in assoluta libertà di mercato
e senza ricorrere alla sovvenzione statale.
Diversamente assisteremo al perpetrarsi di una concorrenza sleale
non accettabile dai principi fondamentali del libero mercato,
non accettabile da parte della nostra Autorità garante
della concorrenza e del mercato, non accettabile da parte dell'Unione
Europea.
La Grecia, Paese marinaro per eccellenza, ha ottenuto in sede
comunitaria di mantenere la riserva di cabotaggio del proprio
Paese sino a tutto il 2003. Ciò significa che, mentre gli
armatori italiani non potranno svolgere traffico di cabotaggio
in Grecia prima di tale data, i nostri colleghi greci potranno
invece venire in Italia dal 1° gennaio 1999.
Si tratta di una decisione iniqua che non trova riscontro ne'
nel diritto ne' nella logica.
Il concetto della reciprocità è l'unico valido perché
in armonia con il rispetto delle parti.
L'Italia, unitamente agli altri paesi dell'Unione Europea, dovrà
rivedere tale importante argomento, perché tutti i paesi
partecipanti godano dello stesso trattamento e degli stessi diritti
così come si conviene in qualsiasi comunità civile.
A questo riguardo mi è d'obbligo chiedere alle nostre autorità
di governo una maggiore attenzione alle problematiche della nostra
marina mercantile ed a una difesa più decisa degli interessi
nazionali in sede europea per compensare la disattenzione delle
precedenti legislature.
Il Ministro Burlando ebbe a confidarci l'anno passato che, in
quei due mesi circa, in cui aveva preso le redini della Presidenza
come Ministro dei Trasporti in sede europea, il solo fatto di
essersi recato quasi settimanalmente a Bruxelles, è stato
apprezzato in maniera determinante, perché poche volte
avevano visto un Ministro dei Trasporti italiano, a parte naturalmente
il contenuto delle istanze importanti che ha portato avanti. Questo
significa che con l'essere presenti e chiedere, poi si finisce
per ottenere.
Resta però anche da sottolineare l'importanza che la battaglia
per il riconoscimento di pari condizioni con lo Stato-armatore,
sui mercati marittimi del cabotaggio, non sia combattuta soltanto
in sede politica o facendo ricorso alla fondatezza delle argomentazioni
giuridiche, ma vada impegnata direttamente sul mare e debba costituire
il banco di prova delle capacità di investimento ed operativa
degli armatori, della loro determinazione e della loro intraprendenza
di imprenditori.
L'affermazione di una nuova logica amministrativa, pronta a raccogliere
le sfide del mercato rinunciando ad affidarsi a chimere protezioniste,
la cui efficacia è ormai illusoria, ha iniziato a dare
i suoi frutti nelle attività portuali e l'importanza dei
risultati raggiunti conferma la corretta impostazione di chi da
anni chiedeva una svolta in senso privatistico della gestione
delle banchine.
Fino a pochi anni fa, infatti, la portualità italiana è
stata sinonimo di inefficienza, frutto di una sclerosi del suo
assetto pubblicistico e dell'arretratezza delle condizioni operative
che ne derivava. Questa situazione ha progressivamente allontanato
dai nostri scali i traffici internazionali, ha frenato lo sviluppo
delle imprese di navigazione, particolarmente nel settore dei
servizi di linea, ed ha precluso per molto tempo un'efficace evoluzione
in senso multimodale del sistema nazionale dei trasporti, che
altrove era già stata realizzata con i benefici di rilievo
per la competitività complessiva dell'intero sistema produttivo.
Con la privatizzazione delle banchine c'è stata una grande
svolta nella produttività e nell'immagine internazionale
della portualità italiana. In quasi tutti i porti oramai
abbiamo raggiunto dei record: Genova, La Spezia, Livorno, l'Adriatico,
Trieste. Il porto è tornato ad essere un fattore di sviluppo
per la navigazione mercantile e ciò significa, non soltanto
crescita economica per le nostre città portuali, ma una
più elevata capacità di penetrazione del nostro
sistema industriale nei mercati mondiali.
Sono indispensabili investimenti massicci per il rinnovo delle
strutture e infrastrutture portuali, per aumentare la produttività
e rendere i nostri porti competitivi con quelli del Nord Europa.
Solo così le nostre merci possono rimanere patrimonio dei
porti italiani e non avviarsi a quelli del Nord Europa.
SALUTO
Signor Ministro, illustri Amici,
Nei due anni del mio mandato importanti novità sono giunte
a maturazione nella politica marittima nazionale, novità
che hanno trovato fondamento nell'attiva opera di chi mi ha preceduto,
e che mi auguro, e ne sono sicuro, costituiranno la base per ulteriori
progressi della nostra marineria sotto il prossimo presidente
nella conduzione della Confederazione degli Armatori.
Il grande Hemingway, nella sua attività di scrittore, diceva
di applicare il "principio dell'iceberg": solo un ottavo
della massa di conoscenza e di idee di cui disponeva emergeva
nella pagina scritta, ma questo ottavo fondava la sua stabilità
nei sette ottavi che restavano invisibili, immersi nella sua coscienza.
La mia speranza è che la lunga opera di sedimentazione
di una nuova coscienza marinara nella cultura nazionale sia ormai
giunta a compimento e che l'Italia torni a vedere stabilmente
nella sua marineria una importante componente di sviluppo.
L'autunno scorso, intervenendo al Cnel per la presentazione del
rapporto sull'Economia del Mare, concludevo volendo testimoniare
da uomo innamorato del mare - tanto da averne fatto il centro
della propria vita di imprenditore - la soddisfazione di chi vedeva
finalmente condiviso il suo entusiasmo, compreso il significato
economico e sociale della sua attività, apprezzata la rilevanza
di essa per l'intera collettività nazionale.
Non trovo tuttora parole più adatte per passare il testimone
al nuovo presidente degli Armatori.