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Il nebuloso futuro dei traffici marittimi nel Mediterraneo
La difficoltà di formulare previsioni e il punto di vista degli operatori
6 novembre 2009
Evidentemente non è il momento dei proponimenti. Questa è l'ora di dirsi quello che si può fare e null'altro. Oggi non è il caso di avventurarsi in voli pindarici. Certo non è tempo di ottimismo.
Pertanto, attualmente, previsioni come quelle che indicano la possibilità per il porto di Genova di movimentare un traffico di svariati milioni di container appaiono quantomeno intempestive.

La crisi economica mondiale ha dato una bella botta a tutti. Molti sono ancora attoniti e stupefatti, altri intontiti o rintontiti. Alcuni sono pessimisti. Tutti sono prudenti, anche quelli chiamati a formulare pronostici sull'evoluzione futura dei traffici marittimi nel Mediterraneo.

Per capire quello che è avvenuto e, soprattutto, per cercare di ipotizzare ciò che potrà accadere «è necessario gettare l'occhio ben al di là del Mediterraneo». Sono le parole - a nostro avviso sacrosante - di Claudio Ferrari, direttore del Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi dell'Università di Genova, che stamani è stato chiamato assieme ad altri esperti a prospettare possibilità future per la portualità nell'ambito del convegno su “L'evoluzione dei traffici marittimi nell'area del Mediterraneo in relazione allo scenario mondiale” tenutosi a Palazzo San Giorgio di Genova nel corso della seconda giornata dell'evento “Port&ShippingTech”.

Per Ferrari (sintetizziamo) è difficile, se non impossibile, definire uno scenario futuro se «si guarda solo in casa propria». Forse è ottimismo, o forse cautela, quella che ha indotto il docente universitario a prevedere «almeno 2-3 anni affinché si torni ai livelli pre-crisi». D'altronde - ha ammesso - il modello capitalistico nei decenni ha subito mutazioni sostanziali ed è possibile che ciò avvenga nuovamente dopo quest'ultima recessione. È questo uno degli elementi che rende a sua volta difficoltoso intuire quali saranno le ripercussioni sullo shipping. Questo cambiamento - ha avvertito - potrebbe tradursi anche in «una crescita economica svincolata dalla crescita dei trasporti». Così anche «l'ampliamento del canale di Panama potrà avere un forte impatto sui traffici», magari «con un ritorno alle rotte round-the-World, le rotte giramondo». Nel bacino del Mediterraneo si aggiungono altre incognite, quale ad esempio il ruolo del Nord Africa, regione in cui - ha ricordato - si concentrano grandi investimenti, non solo nella portualità, ma anche nella produzione.

L'evidente difficoltà di pronosticare quale sarà il futuro del trasporto marittimo nel Mediterraneo è tale anche per realtà oggettivamente meno complesse come il porto di Genova, che pure è uno dei primi centri della portualità del bacino. Tale problematicità è confermata dagli studi previsionali citati nell'introduzione ai lavori dal manager dell'Autorità Portuale di Genova Alessandro Carena, che propongono per il porto del capoluogo ligure un traffico al 2015 compreso tra i 2,6 e i 3,5 milioni di container.

Carena ha rilevato come nell'attuale momento di crisi il traffico marittimo si sia concentrato su pochi porti sia in Europa che nel Mediterraneo, tra cui Genova. Considerazione, questa, a nostro avviso infondata non solo per Genova, il Mediterraneo e l'Europa, ma in assoluto: ad avere maggiormente sofferto della crisi, in Cina sono stati i principali porti nazionali di Shanghai e Shenzhen, in Nord America i più grandi porti della East e della West Coast e in Europa gli scali dominanti del Northern Range, cioè Rotterdam, Anversa, Brema e Amburgo. Così anche nel Mediterraneo: basti pensare al tracollo di Barcellona, ma anche al deciso regresso di Genova. Questi ed altri grandi porti hanno compiuto evidenti passi indietro sia nei container che in altri flussi di traffico. Ci sembra, insomma, proprio il contrario: come è stato per il settore bancario, nel quale il sistema italiano ha retto meglio alla crisi finanziaria perché meno avanzato e sviluppato, così anche nel settore portuale ha vinto (si fa per dire) chi meno ha investito e rischiato e chi aveva meno traffici da perdere.

Il convegno odierno ha successivamente proposto i pareri delle imprese dello shipping. Introdotti dal presidente di Confindustria Genova, Giovanni Calvini, abbiamo ascoltato nell'ordine le opinioni di Stefano Costa, amministratore delegato di T-Link di Navigazione, di Marco Donati, direttore generale di COSCO Italia, di Nereo Marcucci, presidente di Assologistica, di Antonio Musso, amministratore delegato del Gruppo Grendi, di Luigi Negri, presidente di Finsea, e di Marco Pradovera, commercial planning manager di Maersk Italia. Tutte voci probabilmente “pro domo loro”, che però - depurate di alcune vocazioni aziendali - ci sono apparse pragmatiche e concrete, fonte a cui abbeverarsi in caso di siccità.

Tutti, a partire da Costa e Donati, hanno evidenziato l'ampia offerta di servizi marittimi nel Mediterraneo, in grado di garantire già oggi risposte efficaci all'auspicata ripresa della domanda. Consapevole che la casa-madre cinese COSCO da tempo è in cerca di una collocazione privilegiata nel Nord Tirreno per i propri traffici, il rappresentante di COSCO Italia ha evidenziato la tendenza, soprattutto a Genova, a «declassare il contenitore di trasbordo». Inoltre Donati ha lamentato che a Genova non solo «non si è riusciti ad affidare una parte di porto ad un armatore», ma c'è «la presunzione di decidere che merce manipolare e a chi farla manipolare». Secondo il rappresentante di COSCO Italia, per lo sviluppo della portualità mediterranea è comunque assolutamente necessario spostare il baricentro verso Nord, ovvero avvicinare i porti ai mercati centro-europei.

Difficile proponimento, quest'ultimo, se neppure sappiamo che porto scegliere quale “porta d'Europa” tra i tanti che si propongono come tali. Il timore di Piero Lazzeri, presidente di Fedespedi, è che neppure in futuro sapremo quale varco aprire all'Europa. Chiamato a dire la propria e a parlare per conto dei caricatori, Lazzeri ha spiegato di essere rimasto sconcertato dal fatto che neanche la prossima legge sui porti, che nascerà dalla revisione della normativa del 1994 attualmente in vigore, sembra conterrà una classificazione dei porti, «anzi - ha specificato - pare che se ne aggiungerà un altro».

Anch'egli forse “pro domo sua”, visto che ha schiettamente ricordato di essere stipendiato dal gruppo terminalistico Contship Italia, Nereo Marcucci ha sottolineato che «i porti di transhipment sono la vera porta Sud dell'Europa», varchi che però - ha accusato - a parole si enfatizzano, ma con i fatti vengono penalizzati. «Se oggi stiamo creando il nostro futuro - ha precisato - ritengo che stiamo uccidendo il transhipment». Marcucci ha perorato anche la causa dei “terminalisti puri”: con questa crisi - ha spiegato - «quasi tutti i terminalisti-armatori vendono, mentre i terminalisti tradizionali stringono i denti, ma resistono».

La parola è passata a Luigi Negri che, attraverso Finsea e la finanziaria Gruppo Investimenti Portuali (GIP), controlla il container terminal SECH del porto di Genova ed ha recentemente esteso la propria presenza anche all'altro container terminal genovese VTE grazie ad un contestato scambio azionario con PSA Europe/Sinport (concentrazione - ricordiamo per la cronaca - sulla quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha prorogato al prossimo 13 novembre il proprio pronunciamento) (inforMARE del 18 dicembre 2008).

Secondo Luigi Negri, sarebbe necessario innanzitutto realizzare infrastrutture che consentano ai porti della sponda settentrionale del Mediterraneo di servire al meglio i propri mercati, perché i porti italiani rischiano di perdere ulteriori quote di tali mercati lasciandole agli scali del Nord Europa: «sarebbe un delitto», ha confermato Negri. Il gruppo Finsea la sua parte la sta facendo: al SECH - ha spiegato - in 14 mesi eseguiremo il revamping delle cinque gru per operare su navi da 8.000 a 10.000 teu.

Per Marco Pradovera, anche in futuro «il Mediterraneo continuerà ad essere un punto di transito». Il rappresentante di Maersk Italia ritiene indispensabile individuare nell'area «punti nodali su cui investire pesantemente», metodo che dovrebbe essere evidentemente perseguito dai decisori politici, ma anche - ha precisato - dagli stessi operatori, così come sta facendo il gruppo Maersk in diversi centri strategici del bacino, come Algeciras, Port Said, Tangeri o con il progetto per la nuova piattaforma di Vado Ligure.




Bruno Bellio
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